Dossier "Parsifal i 40 anni": Di cavalieri, canzoni ed amori - Lunedi' 30.09.2013
I POOH: VALERIO, ROBY, DODI, STEFANO, RED
Dall’alba antica delle mitologie fino alle più tragiche avventure individuali del nostro secolo, l’uomo ha inseguito i Miti e gli Dei, per identificarsi ed integrarsi ad essi. Ma non vogliamo ignorare l’altra sottile, spesso oscura odissea dell’uomo alla ricerca quotidiana di se stesso, nei valori minimi, nella poesia degli attimi sfuggenti, nell’esplorazione ingenua dei sentimenti. All’ombra delle Grandi Parole e dei Grandi Simboli, candidamente ognuno protegge ricordi, emozioni, una dolcezza inconfessata che può riscattare dall’inerzia violenta della solitudine.
Al filtro universale dell’amore, nei cui aspetti ogni cosa umana si può identificare, abbiamo ancora una volta voluto far passare il nostro discorso più naturale e che ci compete, di musica e poesia. Fra le nostre piccole storie consuete e inconsuete, una ne abbiamo isolata, che vogliamo sia il simbolo e il commento migliore di questa nostra ultima fatica.
C’è un Eroe, Parsifal, un predestinato al Mito.
La sua natura intatta è l’abito sacro che deve farne il superUomo, braccio violento di Dio. Ma è la sua natura intatta e sognante che viene fecondata dalla vita, dalle stagioni, dall’amore. Ed egli si riconosce si, ma uomo di breve ma completa vita terrena, e si ferma, là dove ha incontrato la realtà di se stesso.
Questo è l’uomo, questi siamo noi, e ognuno che vorrà per un attimo pensarci su…
CHRISTIAN IANSANTE
Ho scoperto la musica dei Pooh nel 1978 grazie all'album "Boomerang". "Parsifal" giunse dopo ed è il disco che ha dato il via ai Pooh dei miei ricordi, è il primo LP che ha dato al gruppo l'immagine ed i suoni che li ha caratterizzati per così tanto tempo.
Ora, quando guardo i Pooh esibirsi sul palco, è come se mancasse qualcosa: la formazione che ancora riconosco è quella con Stefano D'Orazio, non quella con l'orchestra. Del resto, sono stati 40 anni insieme.
ANTONIO RUSSO
Le canzoni di Parsifal in me hanno sedimentato negli anni, mentre le scoprivo cercando di capirne gli accordi e riuscire a trovarli su una chitarra da poche lire, le cui corde di metallo lasciavano dei solchi scuri, cotti e sbucciati sulla punta delle mie dita di quindicenne, alle prese con la scoperta del rock e del suo strumento principe. Cosa c’entravano i Pooh con il rock? Ma cosa me ne fregava a me se ci azzeccavano o no! A me piacevano, perché la loro scrittura musicale per me era stimolante, quando le mani mi facevano male per tutti i barrè che ero costretto a prendere, e poi i testi per me avevano qualcosa in più. Negli anni, tanta musica è passata nella mia testa e sulle mie dita, ma i Pooh continuano ad avere un loro posto speciale. Soprattutto le parole, quelle di Valerio Negrini, le sento come una parte di me e di quel che sono diventato, ma questo esula da quelle considerazioni che vorrei fare su quest’album e sulla figura di quel cavaliere che non si vede in copertina, ma che è stato il primo cavaliere (rubando il titolo ad un film dedicato anch’esso al ciclo arturiano, come l’eroe che da il nome all’album ed alla bella suite omonima). Si fa il centro sull’amore, nelle note introduttive siglate dai Pooh “che suonano” nell’album, ma molto probabilmente sono parole di Valerio, che aveva dimostrato fin da subito di essere bravo con le parole quanto lo era con i tamburi.
L’amore è quello che si affaccia in ogni composizione dell’album, il fondamento di storie dai diversi esiti che si succedono nei solchi dell’album (ragiono in termini di vinile, me lo posso permettere, vista l’età), è vero. Per me invece il quinto album dei Pooh (tenendo fuori Contrasto, anche per il gruppo un incidente di percorso), il terzo del nuovo corso sotto l’egida del produttore Giancarlo Lucariello, è l’album della presa di coscienza. Non mi riferisco al gruppo, che pure in questo album ha fatto un passo da gigante verso quel sound che avrebbe consolidato negli anni a seguire, con la nuova alchimia data al gruppo dall’arrivo di Red Canzian. La presa di coscienza per me è il tema conduttore di tutte le canzoni di Parsifal, in modi diversi forse, ma sempre risolutiva ed inevitabile, in ogni testo che Negrini firma per l’album (D’Orazio avrebbe cominciato a metter mano ai testi solo dall’album seguente). Il pilota si rende conto che non tornerà mai più dalla sua donna, in “L’anno, il posto, l’ora”. L’uomo che ritorna nell’appartamento che condivideva con la sua ex, in “Solo cari ricordi”, si convince infine che è tutto finito. La coppia di “Io e te per altri giorni” capisce di aver intrapreso la strada di una nuova vita insieme, lasciandosi alle spalle le loro precedenti vite. Il protagonista de “La locanda” trova nell’alcol la forza per rassegnarsi alla fine di una storia. Quello che credeva, in “Lei e lei”, di star giocando con la sua donna un gioco per ingelosirla, scopre alla fine che il gioco è andato oltre e l’ha persa in un modo che mai avrebbe immaginato. In “Come si fa”, chi non ha saputo tenere a freno le proprie pulsioni, si trova davanti alla consapevolezza di essere andato a letto con la donna del suo amico. L’uomo della coppia di “Infiniti noi” cerca di far prender coscienza alla propria donna che niente può essere più importante del loro amore. Ed il protagonista di “Dialoghi”, che improvvisamente si rende conto di aver messo da parte i propri sogni partendo dal pensiero di un meridiano che attraversa la sua città? Anche nella canzone rimasta fuori dall’album, “Lettera da Marienbad”, è l’improvviso rendersi conto da parte della donna che la spinge a scrivere una lettera all’uomo che aveva lasciato per una nuova vita da cui vuole scappare. Ma la canzone che in modo più deciso e più risoluto afferma quel leit motiv che lega le canzoni di Parsifal, è proprio la title-track. Ribaltando la storia conosciuta, il mito, la leggenda dell’eroe votato ad essere il custode del Graal, Parsifal rinuncia per amore (e qui si ricollega a quanto detto dai Pooh nell’introduzione che apre questo articolo e che è contenuta nella prima versione dell’album) al suo destino. Spogliatosi delle vesti e delle armi, del ruolo di cavaliere che tanto aveva agognato, sacro non diventerà. Per amore di una donna, là si ferma il suo cammino. Proprio come, per amore del gruppo che aveva fondato e perché non si arrivasse all’irreparabile, Valerio Negrini “le sue armi al sole e alla rugiada” aveva regalato ormai, lasciando per sempre la batteria per dedicarsi solo alla scrittura dei testi. “Sacro” non diventò, come gli odierni cavalieri che, con degli strumenti musicali invece che con delle armi, affascinano le platee con le loro gesta. Là si fermò il cammino come batterista di Valerio, il primo cavaliere e fondatore dei Pooh. Ecco il perché, nel disegno che gli ho dedicato, della sua vecchia batteria con il vecchio logo dei Pooh fra l’erba, anch’essa abbandonata come le armi di Parsifal.
Clicca sulla tavola per ingrandire.
MICHAELA SANGIORGI
La musica sa scegliere strade inattese per raggiungerti e lasciarti meravigliata. Nel mio caso, si è servita di un giovane uomo che mi offrì di ascoltare il vinile di un gruppo da sempre detestato in casa mia, più per innata antipatia di mio padre che per oggettiva conoscenza della loro produzione. Quel disco era "Parsifal" dei Pooh.
La mia formazione musicale trovava le sue basi nella radio ed in quanto capitava di sentire dalle emittenti locali e su Radio Capodistria. Non avevo mai approfondito la conoscenza di un cantante o di un gruppo in particolare, ed ammetto che accettai un po’ prevenuta l'album, storcendo il naso davanti alle foto di quei quattro tipi, che pensavano d'essere chissà chi, con quei costumi medievali.
In sala, con le spalle rivolte allo stereo acceso, seduta al tavolo rotondo (strana coincidenza con il mito arturiano richiamato dal titolo del disco), cominciai l'ascolto del 33 giri, mentre ero impegnata in altre cose, forse i compiti di scuola o qualche pastrocchio a base di fogli di carta quadrati e pieghe. Le canzoni sfilarono una dopo l'altra, abbastanza ignorate nel complesso; nemmeno compresi di cosa trattasse "Lei e lei". Poi giunse l'ultima traccia. Quella traccia. Quel minuto 08:37 in cui per un istante tutti gli strumenti zittiscono ed una chitarra elettrica “riprende” il racconto.
Mi girai verso lo stereo, esterrefatta. Cosa accidenti stava facendo quel tizio, con quelle corde?
Non ricordo quante volte riportai la puntina del giradischi su quel preciso punto del disco, per riascoltare quell'attacco, quell'assolo. Poi abbandonai ciò che stavo facendo per riprendere dall'inizio l'ascolto dell'intero album, per capire...
L'imbattermi in "Parsifal" accese la mia curiosità di conoscere, di scoprire. Chiesi a mia madre il denaro necessario per acquistare delle cuffie e potere così ascoltare in modo più attento quel disco. Cominciai dall'ultima traccia e scoprii che quel coro in realtà era la voce di Dodi Battaglia, il chitarrista, duplicata non so quante volte; poi l'accompagnamento di tutti gli altri strumenti, ognuno con il proprio importante contributo sonoro.
Da lì cominciò davvero tutto: la mia passione per i Pooh, la continua meraviglia per le parole di Valerio ed i suoni che Roby, Dodi, Stefano e Red sapevano inventare per vestirle di suggestioni.
Un affetto nato quando una ragazzina di 16 anni si lasciò sorprendere dal talento di un ragazzo che allora ne aveva solo 22.
FILIPPO RIZZO
Mi sono sempre chiesto se il fatto che “Parsifal” si aprisse con un brano (L'anno il posto l'ora), che recita ”L'anno il '73...”, fosse solo un caso o l'anticipazione di una svolta musicale per i Pooh.
A ben pensarci, il 1973 fu un anno molto prolifico per la musica, sia internazionale che italiana. Da giovane 17enne, ero “affamato” di quella musica che, se da una parte mi conduceva all'ascolto riflessivo delle composizioni, dall'altra scatenava dentro di me la “rabbia del contestatore”, che sfogavo attraverso lunghe sessioni di “air drumming”. Erano gli anni del “Progressive”. I grandi supergruppi come Emerson, Lake & Palmer, Genesis, Yes e Jethro Tull la facevano da padroni sulla scena musicale mondiale. Ma anche “noi italiani” non scherzavamo. Il primo semestre del 1973 vide la nascita di “opere” eccezionali, quali “Felona e Sorona” (Le Orme) – “Io sono nato libero” (Banco Del Mutuo Soccorso) – “Papillon” (Latte e Miele) – “Contaminazione” (Rovescio Della Medaglia) solo per citarne alcuni… Per dovere di cronaca, c’è da dire che all’epoca già “lavoravo” in una Radio Libera / Pirata, ed avevo modo di spaziare nel vasto mondo che la musica offriva. Fu cosi che, di ritorno dalle ferie estive, il “passaparola” mi fece arrivare alle orecchie la notizia che era uscito il nuovo album dei Pooh: “Parsifal”!
Seguivo già il gruppo sin dal 1970 (quando mi regalarono un “mangiadischi” e la copia fresca di stampa del 45 giri “Tanta voglia di Lei / Tutto alle tre”. A colpirmi fu il lato B del singolo, con la voce rabbiosa e graffiante di quel tale… .un certo Valerio Negrini… mi impressionò favorevolmente. Qualche settimana dopo avevo tra le mani l'album “Opera Prima”… “Contrasto”... “Per quelli come noi”. E fu cosi che ebbi l'opportunità di seguire al meglio il gruppo. Valerio mi piaceva da morire! Il successivo album, “Alessandra”, non lo comprai! Pura rabbia, lo ammetto, dato che avevo saputo che Negrini aveva lasciato il gruppo. I pezzi di “Alessandra” venivano diffusi ovunque, ma la notizia dell'uscita di un loro nuovo album dal titolo cosi strano e affascinante, mi colpi... e non poco!
Lo acquistai il 10 settembre da “Gallo” alla “Pignasecca” (noto quartiere di Napoli) e andai in radio. Mi misi in regia, poggiai il disco su di un piatto ed infilai le cuffie.
Fu allora che il mondo cominciò a girarmi intorno. Stavo ascoltando qualcosa che fino ad un attimo prima non era ancora stato tentato da altri. Mi colpiva l'utilizzo di archi e fiati, che erano comprimari delle voci e non dei semplici strumenti di accompagnamento.
“L'anno il posto l'ora” – “Solo cari ricordi” – “Io e te per altri giorni” li ascoltai tre volte di seguito. Sarà stato l'effetto cuffia-stereo, ma vi giuro: arrangiamenti così (fatti dal grande Monaldi) io non li avevo mai ascoltati prima d'ora! Snocciolai velocemente gli altri 5 brani, soffermandomi su “Lei e lei” (dopo il primo ascolto, volevo capire se davvero avevo inteso bene e che in quel pezzo si affrontava una tematica che, a quei tempi, era davvero un tabù, e che per certi versi lo è ancora oggi, ma questa è tutt'altra storia…) ed arrivai, parzialmente soddisfatto, all' ultimo brano. Mi incuriosiva la lunghezza del pezzo: oltre 9 minuti (all’epoca solo “Dov’era lei a quell’ora” degli Alunni del Sole deteneva il record dei 10 minuti).
Parsifal non può essere descritto. Parsifal va vissuto dall’ascoltatore, e le sensazioni che fa sprigionare in ognuno di noi sono così intime e personali che sarebbe davvero riduttivo ridurle ad una frase scritta su un foglio di carta. E sono così convinto di questa mia affermazione che, a distanza di 40 anni, riascoltandola “live” con un’orchestra durante il il tour “Opera Seconda”, questo è ciò che ho scritto commentando il concerto....
“L'esecuzione di Parsifal merita una descrizione a parte… VOI NON POTETE AVERE IDEA DI QUELLO CHE SI PROVA AD ASCOLTARE PARSIFAL ESEGUITO DA UN ORCHESTRA DI 48 ELEMENTI... Non sono in grado, ancora adesso, di spiegarvi quello che ho provato! Non sono in grado di dirvi come sia diventata la mia pelle nel giro di un attimo... non vi so dire come i miei occhi si siano riempiti di pianto nel giro di un secondo. Tutto quello che vorrei dirvi non può essere spiegato, poichè LO VIVRETE SULLA VOSTRA PELLE nel momento in cui sarete li... ad ascoltarla “
Oggi... ne sono sempre più convinto!
AGOSTINO IACCARINO
Parsifal e dintorni
L’album “Parsifal”, uscito alla fine dell’estate del 1973, è considerato da tutti gli appassionati di musica, il migliore album dei Pooh; secondo il magazine “Rolling Stone Italia”, è tra i cento migliori dischi italiani di sempre.
Infatti, Parsifal è tra i dischi che riscuote maggior successo di critica, proprio da parte di quelli che proprio benevoli nei confronti dei Nostri non sono mai stati.
L’anno 1973 (proprio con queste parole inizia la prima traccia) è un anno cruciale per i nostri, forse il più importante di tutta la loro leggendaria storia. Con Red Canzian, che sostituisce Riccardo Fogli nel febbraio dell’anno, i Pooh assumono la formazione che sarà stabile per quasi 37 anni! Ma la successione al basso non è solo di ruolo: l’avvicendamento di Canzian con Fogli chiude definitivamente la fase "beat" del gruppo e lancia la band verso un pop / rock sinfonico, con forti influenze progressive. Sicuramente, l’inserimento di Canzian ha aiutato la svolta, che già embrionalmente viva, come meglio sarà illustrato più avanti.
Ma cosa è il Progressive? Il rock progressivo (in inglese progressive rock) è una corrente del rock nata in Inghilterra alla fine degli anni sessanta e sviluppatasi principalmente nei primi anni settanta, per poi scomparire gradualmente nella seconda metà del decennio, spodestata dal Punk. Il termine deriva dal fatto che, secondo gli esperti, il genere rappresenta la progressione – evoluzione - del rock dalle sue radici Blues. La caratteristica del prog, sta nella ulteriore elaborazione di quella matrice e della sua proiezione verso composizioni più complesse e varie, favorendo la contaminazione con elementi stilistici provenienti anche da altri nobili generi musicali, come il jazz e la musica classica. Di quest’ultima, in particolare, sia il periodo barocco (dalla metà del ‘600 alla seconda metà del ‘700, da Corelli a Mozart, per intenderci), sia il periodo romantico e decadente (da Beethoven in poi). Il brano tipico quindi perde la sua misura commerciale e consumistica con l’elusione di peculiari caratteristiche: non deve necessariamente essere limitato in tre/quattro minuti, non deve essere rigidamente schematizzato nella griglia “introduzione – strofa – refrain – conclusione”, può subire improvvise accelerazioni o decelerazioni del ritmo, essere composto da momenti musicali diversi, proprio come le suite orchestrali. Pertanto anche la strumentazione non è limitata, come nel beat, a due chitarre, un basso, una batteria e talvolta un organo elettrico. Si spazia avvalendosi anche talvolta di grandi orchestre, le tastiere diventano sempre più complesse ed i suoni sempre più avveniristici ed inediti (si pensi all’organo Hammond e al sintetizzatore Moog), si utilizzano strumenti proveniente da una grande tradizione come il flauto, l’oboe, il violino, si sperimentano nuove architetture strumentali, come le chitarre a doppio manico. Il rock passa da una musica di svago a musica da “ascoltare”, divenendo vera e propria forma d’arte, come la musica dei grandi compositori del passato a cui ho accennato prima. I testi poi spaziano dall’amore al disagio sociale, dalle leggende tradizionali a temi religiosi. Il virtuosismo la fà da padrone. In Italia succede quel che è successo nel cinema per gli “spaghetti Western”. L’ondata Prog Rock si è creata una strada tutta sua, con il riconoscimento della sua influenza da parte dei più importanti artisti di livello internazionale. Ancora oggi, il prog rock italiano è un genere amatissimo in Giappone e lì, ogni anno, si organizza una manifestazione con concerti.
Il progressive italiano è prevalentemente di stampo sinfonico-romantico, fortemente contaminato con la musica classica, unitamente ad una forte influenza della stessa tradizione italiana. Fra tanti gruppi, fra cui tanti durati purtroppo lo spazio di una sola pubblicazione, i più celebrati e duraturi sono Le Orme, i New Trolls, il Banco del Mutuo Soccorso, la Premiata Forneria Marconi, i Goblin, etc.
Tornando ai nostri, proprio l’arrivo di Canzian, in precedenza chitarrista dei Capsicum Red, un gruppo spiccatamente progressive, conferisce un’ulteriore svolta verso sonorità ed attitudini che erano già latenti nel gruppo, viste le incursioni nel prog che avevano già compiuto episodicamente da qualche anno. Si pensi agli esperimenti musicali contenuti nella title-track di “Contrasto” (in seguito apparsa sulle raccolte satellite con il titolo “Visions”), provenienti da un demo registrato con Mario Goretti, chitarrista poi sostituito da Dodi Battaglia e inserito con altri brani d’archivio in questo disco che il vecchio discografico del gruppo assemblò, all’insaputa del gruppo, per sfruttare il successo che stavano riscuotendo con “Piccola Katy”. Alcune linee di questo demo finiranno nella suite di “Parsifal”. O ancora, è da ricordare il concept album – tipica espressione prog - “Memorie”, oppure brani come “Il primo e l’ultimo uomo” contenuto, insospettabilmente, in “Opera prima”. Inoltre, già nella famosa tournée con l’orchestra sinfonica (l’ultima con Fogli) dell’autunno 1972, veniva eseguito un brano più lungo dei brani fin lì pubblicati, in pieno stile prog. Il brano, una fusione tra l’embrione di “L’anno il posto l’ora” (con un testo ancora provvisorio e parzialmente in inglese) e tratti di quella che sarebbe diventata la parte sinfonica di “Parsifal”, tutto introdotto da un breve strumentale rimasto purtroppo inedito, in puro stile prog. Di tanto vi è una prezioso documento audio/video nella raccolta “Pooh Legend”, pubblicata nel marzo 2012 ( DVD n. 3 – i Grandi Classici).
Quindi se le premesse c’erano, è ovvio che Canzian ha contribuito alla sterzata definitiva. Oltre alla svolta strumentale compositiva, vi è anche quella relativa alle liriche. I testi, scritti allora ancora esclusivamente dall’indimenticabile Valerio Negrini, fanno un timido balzo (per quei tempi) in avanti. Nel precedente “Alessandra”, unico protagonista indiscusso è l’amore, adolescenziale o giovanile. In “Parsifal” gli argomenti dei testi hanno ben altro respiro e, in alcuni casi, tematiche inedite nel nostro Paese.
In “L’anno il posto l’ora” si parla di un aviatore che, nell’accorgersi che l’aereo che pilota sta per precipitare, ripercorre tratti della sua vita, con un ultimo pensiero alla sua donna. In “La locanda” un uomo cerca di affogare i dispiaceri d’amore nell’alcool (n questo brano è singolare il ritmo della parte musicale, teso a rendere l’idea dell’intercedere barcollante di un alticcio; analoga idea, nell’ambito della musica barocca, troviamo ne “L’Autunno” de “Le quattro stagioni di Vivaldi”, dove l’assolo di violino rende l’idea di una sbronza post – vendemmia). Ancora, in “Lei e lei”, si parla dell’ingenuo ed inconsapevole ritrovarsi di un uomo nel pieno di una relazione saffica ( Lei e lei); oppure ancora la storia di due amici che dividono garçonniere ed avventure, finchè, capita quando capita, ci scappa l’innamoramento e allora, come la mettiamo? Insomma, rispetto ad “Alessandra”, la strada musicale dei Nostri fa un considerevole balzo in avanti. Anche le composizioni, ordinate e abbastanza schematiche, senza virtuosismi ed assoli (a parte qualche rara e fugace concessione) dell’album “Alessandra” (in cui la chitarra elettrica è quasi del tutto assente), in “Parsifal”danno spazio ai virtuosismi, sia dell’orchestra che delle chitarre di Dodi e del piano di Roby, sia della batteria di Stefano che del basso di Red (provate a prestare attenzione ai giri di basso nella prima parte di Parsifal). Tra i due album vi è una differenza di “maturità” di almeno un lustro: tra i potenziali fruitori del prodotto vi è una differenza: “Alessandra” sembra diretto ad un pubblico under 21, “Parsifal” ad un pubblico più adulto, di un’età tra i 25/30 anni.
Vorrei soffermarmi su “Io e te per altri giorni” e “Dialoghi”.
Io e te per altri giorni
Musicalmente, il brano rappresenta una novità: per la prima volta viene pubblicato un 45 giri in cui viene superata la “forma” canzone. Infatti, il brano è composto da due momenti musicali diversi, poi fusi insieme (stesso procedimento per “L’anno il posto l’ora”). Nella parte introduttiva, in cui si da ampio spazio ai fiati (già sperimentati analogamente, in Alessandra, nel brano La nostra età difficile), vi è un ritmo incalzante, che da l’idea del pathos e del senso di colpa:
”A quest'ora sanno già di noi / i problemi cominciano adesso / tutto è fatto ormai / Tu non sai la forza che mi dai / ma conosco i rimpianti che lasci / tu conosci i miei”
È un bel po’ che siamo in fuga: tutti si sono accorti che tu sei fuggita da tuo marito ed io da mia moglie. Comunque sono pronto ad affrontare tutto questo, perché il mio amore per te mi da tanta forza; nello stesso tempo sappiamo, entrambi, cosa andremo a perdere.
Parte melodica, dedicata alle riflessioni causate, inevitabilmente, da una scelta del genere.
“C'è chi si stanca / di un uomo, di una donna / per amore che manca / per noi o solitudine o delusi dal tempo / so bene che per noi non fu cosi”
La melodia rallenta ancora, per un pensiero sulle conseguenze sugli “altri” di questa fuga.
“Lascio una donna che crede solo in me / tu distruggi un uomo che il suo mondo ha dato a te / Senza rispetto si parlerà di noi / tutto questo io lo accetto / non si vive un'altra volta”
Le ragioni della fine di un matrimonio, ovvero perché il legame collassa su se stesso: non si è più innamorati del partner, perché un legame duraturo può portare alla noia, alla solitudine o perché ci si rende conto attendere un qualcosa di fiabesco che mai si realizzerà. Ma per i protagonisti della storia, non è stato così: fu vero amore tra di loro. Lei per questo grande amore ha lasciato un uomo che ha dato tutto quel che è e che ha. Lui lascia una donna che rimarrà ancor più sola, perché perde il suo unico riferimento.
La parte melodica aumenta di intensità: le ragioni della scelta sono chiare ed irrinunciabili
“Questo per l'orgoglio mio di averti / basta, non potranno mai fermarmi / dimmi che è cosi per te / chi può ridarci gli anni persi. / Questo fino all'ultimo dei giorni / niente del passato può sfiorarci / niente ci offenderà / nessuno al mondo si permetterà / appartiene a noi la nostra vita”
Crediamo in questa scelta, nessuna forza ostile (istituzionale: Polizia, Giudici o Preti, morale comune, chiacchiere delle persone) potrà fermarci, anzi abbiamo il rimpianto del tempo che abbiamo perso, per il periodo in cui non siamo stati insieme. Ora c’è il futuro davanti ed il passato è un discorso chiuso, nessuno potrà più offenderci per la nostra scelta, per il resto della nostra vita.
Riprende il primo ritmo che rappresenta il ritorno all’attualità, della fuga in essere, con il realismo che questo comporta, compreso lo stress da cui traspare anche che non si è più giovanissimi:
“Cena all'alba, soli tu ed io / ciò che resta da fare domani / devo farlo io / Si risveglia in fretta la città / nei tuoi occhi un po' stanchi ritorna / la tua giusta età”
E sì, perché la fuga d’amore non è solo romantica fiaba, ma sensi di colpa, giudizi degli altri, stress, volti stravolti. Non sono, sicuramente, ingredienti da incontro romantico, come si vede in alcuni film rosa, ma cruda realtà, fatta anche di apparire così come siamo, senza trucco, senza fard e rossetto, con la barba magari incolta; se va bene così, è vero grande amore.
“Questa è la cosa più importante / vieni, voglio uscire dalla gente / basta star nascosti qui / non ha più senso fare così / incomincia qui la nostra vita”
Fase finale melodica e piena di speranza: mostriamoci! Il nostro amore non è fatto per stare nella clandestinità, ma per vivere in faccia al mondo: da questo momento comincia la nostra vera vita.
Si è spesso scritto che questo brano parla di quello che si doveva affrontare quando non c’era il divorzio.
È bene precisare che il divorzio è stato introdotto in Italia nel dicembre 1970, con la Legge Fortuna – Baslini (nr.898/1970) che non prevedeva lo scioglimento del matrimonio contratto in Chiesa, ma soltanto la cessazione degli effetti civili di questo, mentre veniva fatta salva la possibilità di sciogliere il matrimonio contratto solo civilmente. Orbene negli anni successivi alla promulgazione della Legge, le forze politiche più conservatrici promossero un referendum sull’abrogazione di predetta Legge. In buona sostanza, dette ultime forze politiche volevano affermare il principio della indissolubilità del matrimonio, proprio come previsto dal Sacramento. Il referendum ebbe luogo nel maggio del 1974, con il rigetto della richiesta di abrogazione della Legge sul divorzio.
Tornando al brano, è naturale pensare che esso sia stato composto ed inciso (1973) nel periodo di maggior discussione sull’argomento. In ogni caso la donna, in quel periodo, era comunque in una posizione di subordinazione all’uomo: la legge sul nuovo diritto di famiglia sarebbe stata promulgata solo nel 1975.
Una curiosità: nella versione in lingua castigliana (di cui il mio fraterno amico Filippo Rizzo possiede una copia), la parte sinfonica finale, con i gli incalzare virtuosi di batteria, è più lunga, essendo il brano sfumato più tardi rispetto alla versione pubblicata in Italia.
Dialoghi
Musicalmente, il brano si compone di due fasi, alternate tra loro: una fase acustica, con bellissimi accordi di chitarra, accompagnamento di basso, flauto e percussioni ed una fase sinfonica, con prevalenza di orchestra e piano, con un moto che incede perentorio, la prima a sottolineare le scene di tranquilla routine quotidiana, la seconda, quando il protagonista, risvegliatosi da una certa indolenza, si pone domande anche esistenziali. Come può essere sconvolta la normale routine quotidiana di un uomo, probabilmente giovane ma non troppo, sposato e con un posto di lavoro, da una notizia carpita per puro caso:
“Prepotente la sveglia risolve tutti i sogni / quinto giorno d'estate accettato come gli altri / esco dalla semioscura stanza / apro solo una finestra / entro nei vestiti e torno sui miei passi per un bacio a chi / dorme ancora / Cara piccola ragazza che mai ti svegli presto / alla mia colazione per strada penserò / io t'ho scelta per amore un giorno / ti dissi "Siamo un altro mondo / quindi non ti chiedo niente, mi va bene ciò che fai e non fai"
Scene di un matrimonio quotidiano di una giovane, si presume, coppia di coniugi.
“Un istante e affondo dentro la città / i miei passi ormai sanno dove si va / vado a rendermi utile a chi nemmeno so chi è / Dentro grandi stanze illuminate io / fino a questa sera mi rinchiuderò / ma la mente segnala un pensiero certo insolito”
Come ogni giorno vado al lavoro, affrontando il traffico cittadino, quasi come un automa, per lavorare alle dipendenze di qualcuno che neanche conosco (forse una grande Società commerciale). Dalla descrizione del luogo di lavoro, potrebbe ipotizzarsi una fabbrica di beni di consumo o un ente di servizi (assicurazioni, etc.)
“Mi hanno detto che in questa città invisibilmente / meridiano o qualcosa, ma passa proprio qui / se d'un tratto mi ci sento sopra / a un filo che fa il giro del mondo / e questo rade i miei pensieri e nasce limpida un'idea / dentro me / Quanto tempo ho perso fino adesso io / mi son fatto dunque attraversare anch'io / dalle nuove stagioni in silenzio senza vivere / Ha chinato il capo la mia fantasia / disperdendo l'ansia che sarebbe mia / di raccogliere dialoghi d'aria e farne poesia / E semplicemente stando al posto mio / ho dimenticato che respiro anch'io / e scoprirlo un mattino d'estate può pesare un po'”
Per puro caso mi è giunta questa notizia, all’apparenza insignificante: un meridiano passa per la città dove lavoro. A questo punto la mia fantasia si muove dall’appiattimento della vita quotidiana e comincio a pensare che c’è tanto mondo da vedere, ed io sto rinchiuso qui, in questi locali anonimi, per conto di qualcuno che neanche conosco e solo per un suo tornaconto. Così facendo mi accorgo che saranno passati tanti inizi di estate senza che mi accorgessi della bella stagione che arrivava, arrendendomi ad uno stile di vita che mi imponeva ritmi che tornavano utili solo ad una persona o a un gruppo di persone, schiacciando la mia fantasia, la mia voglia di conoscere, la mia voglia di vivere. Tutto questo è gravoso che sia scoperto proprio in una mattina di estate, quando la luce del sole è al suo massimo. Quest’ultima frase può essere una metafora: se la primavera è la stagione della infanzia e della giovinezza, l’estate è quella dell’età adulta. Scoprire l’alienazione della vita di tutti i giorni, quando le stagioni sono al massimo (estate) ovvero nel pieno della nostra età (diciamo tra i 30 e i 40 anni, se l’autunno rappresenta dai 50 in poi), può pesare un po’, perché nessuno ci restituirà quel che abbiamo perso fin qui.
Curiosità: il tema dell’alienazione tornerà qualche anno dopo con “La città degli altri” (1978).
SANTO CARDELLA
2000-2001:
“La canzone lunga alla fine del cd 2.”
Questa era la definizione che un bambino di dieci anni dava alla suite “Parsifal” subito dopo gli anni ‘90, dopo il Millennium Bug ma prima dell’ 11 settembre. Il pargolo curioso iniziava proprio in quel periodo la sua personale esplorazione dell’universo musicale attraverso i cd sparsi per casa, e la sua attenzione cadde su una confezione di due dischi con una grande moneta stampata in copertina, una raccolta contenente “Trenta denari per chi non ci ha mai tradito”. Trenta canzoni di un gruppo italiano, un gruppo che c’era già “quando ci siamo fidanzati con la mamma”, un gruppo che poco tempo prima aveva fatto un enorme concerto al Velodromo, “ma ancora eri troppo piccolo per portarti”. Trenta canzoni diverse l’una dall’altra: brani energici, canzoni d’amore, vari temi, varie epoche. E alla fine di tutto ciò, qualcosa di veramente “diverso”: una canzone divisa in due parti, in una delle quali “non cantano”. Un brano lungo, imponente, che un bambino non poteva cogliere a pieno, ma che rimase lì ad aspettare che fosse l’ascoltatore a raggiungerlo.
2005:
“Guarda che i Pù sono fighi, senti che roba!”
Le scuole superiori ci in-segnano molte cose molto a fondo, si sa. E senza nulla togliere al primo bacio, alle prime serate tra amici, alla Comix e alla ricreazione, buona parte della formazione di alcuni di noi passa attraverso il lettore mp3 e la sua cuffietta, divisa fraternamente con il compagno di classe musicomane. E allora si parla di rock, di metal, di prog, “micacomelamusicaitalianadimmerda”. E poi arriva il momento cruciale, quello che ti segna:
“ma dimmi una cosa, com’è che tu che ascolti tante cose fighe, ti senti i Pù?”
“Compà, guarda che i Pù mica ti fanno solo PiccolaChetti, ci sono cose che manco ti immagini: senti qua - clic del tasto play -> Parsifal pt. 2”
“Ah beh in effetti il chitarrista ci sa fare, io pensavo che le cose sinfoniche le facevano i Naituisc, ah beh buh bah…”
2005 bis:
Lei: “Sai, mi piacciono i Pooh”.
Lui: “Anche a me! Tanto!”
Lei: “Ma dai! Non sai quanto mi sfottono ogni volta che viene fuori ‘sta cosa.”
Lui: “Non c’è motivo: sono un grande gruppo.”
Lei: “Infatti! Poi hanno fatto “Parsifal”, la trovo stupenda, ho anche imparato a suonare la parte col piano, poi te la faccio sentire!”
Lui: “Sì dai, mi piacerebbe! A proposito, ma quello nello scaffale non è il vinile dell’album?”
Lei: “Sì, è di mio padre, che li segue da sempre”
Lui: “Sì, anche i miei sono fans di vecchia data. A proposito, dove hai detto che sono, i tuoi?”
Lei: “Fuori, staranno via per tutto il pomeriggio. Ti ho già fatto vedere la mia stanza?”
2013, discorso di Roby nella tappa di Bologna del tour “Opera Seconda”, trascrizione di Michaela Sangiorgi
“La musica nel corso del tempo ha subito veramente tantissimi cambiamenti, rivoluzioni, passando attraverso le mode, i modi. Però io sono sempre stato convinto che certa musica, certi brani eseguiti con la grande orchestra, con un'orchestra sinfonica, con i suoni veri, puri, la musica trova la giusta collocazione e il giusto valore. Quando si ascolta, la musica va a toccare le parti più profonde del nostro cuore, della nostra anima, perché la musica è amore, perché la musica ci ama, perché la musica accende la nostra fantasia e ci porta lontano. E la fantasia non costa assolutamente niente e questo è il regalo grande che la musica ci fa. (...) Quando abbiamo pensato a questo tour, con un'orchestra a disposizione, non potevamo non pensare di fare la versione integrale di questo brano che ha fatto la storia. Il titolo lo dite voi!”
In nessuna delle tappe del tour abbiamo esitato a esclamare all’unisono il titolo della “canzone lunga alla fine del cd2”. Auguri Parsifal, il tuo cammino non si è ancora fermato. Possa continuare a lungo.
LUCA RAIMONDO
Per motivi anagafici, così come buona parte della musica dei Pooh, ho scoperto Parsifal ben oltre il 1973, a circa quindici anni dalla sua uscita. Nel corso del tempo ho potuto constatare che probabilmente questo è il loro album più apprezzato, quello che mette d’accordo un po’ tutti e quello che è riuscito a entrare persino nella collezione di dischi di chi fan dei Pooh non lo è mai stato. Un vanto, questo, che credo appartenga solo agli album memorabili della musica di ogni tempo.
E che fosse un LP memorabile io ne ebbi subito la sensazione, confermata dal fatto che, a distanza di tanti anni ormai, ho ancora chiaro il ricordo preciso di quando lo ascoltai per la prima volta. Ricordo dov’ero, ricordo il momento, ricordo le sensazioni: “L’anno, il posto, l’ora”, in pratica. E la citazione è perfetta, visto i ricordi marchiati in modo chiaro nella mia mente: “Davanti agli occhi miei la folla delle immagini, vertiginosamente, ma per ordine in un attimo.”
In quegli anni (era il 1988) la musica si ascoltava ancora soprattutto attraverso il vinile degli LP ed i nastri magnetici delle musicassette. I CD cominciavano già a diffondersi sugli scaffali dei negozi musicali, ma il prezzo era sempre poco sostenibile per le mie tasche di adolescente di allora, e quindi prima di procedere al salasso dell’acquisto, spesso come tanti miei coetanei, si preferiva andare sul sicuro acquistando CD di cui già si conosceva e apprezzava il contenuto. I Pooh avevo imparato a conoscerli durante lunghi pomeriggi estivi passati a casa di un amico che, grazie al gusto musicale dei suoi fratelli maggiori, aveva la disponibilità di quasi tutta la loro discografia. Appurato il mio interesse, questo mio amico, periodicamente mi forniva qualche musicassetta su cui riversava un paio di lp dei Pooh a me ancora del tutto sconociuti o quasi. Una sera, o piuttosto una notte, rientrato tardi come era mia abitudine all’epoca, decisi di ascoltarne una a letto, nel buio della mia camera, prima di addormentarmi. Walkman, cuffie alle orecchie, tasto “play” e la musica interruppe solo per me quel silenzio che in quel momento rimaneva di tutti gli altri. Il primo LP non era Parsifal, ora non ricordo più quale fosse, ma ciò contribuisce ad avvalorare la forza dell’emozione che la scoperta di Parsifal mi stava per regalare. Ricordo chiaramente che pian piano, accompagnato dalle note dei Pooh, il sonno dolcemente prese il sopravvento su di me. Non so quanto tempo trascorse, non so quanti brani del primo album di quella musicasetta suonarono, senza che io li ascoltassi in stato di veglia. Ricordo però, come se fosse ieri, l’improvvisa ripresa di coscienza che le prime note di una melodia allora a me sconosciuta mi provocarono. La voce di Red aveva appena cominciato a intonare la prima strofa che io, per essere certo che quello fosse davvero l’inizio del brano che mi aveva così energicamente ridestato , riavvolsi un po’ il nastro per averne la certezza. Nel frattempo le mani nel buio si affannavano a cercare la custodia della musicassetta, su cui il mio amico, con la precisione di sempre, aveva annotato i titoli degli album e quelli di tutti i brani contenuti.
Non so quante volte riascoltai quella canzone quella notte, ma di certo rimasi sveglio ad ascoltare “L’anno il posto l’ora” e gli altri brani di Parsifal fino a quando le prime luci dell’alba mi dissero “Ok, l’ultima volta e poi basta”. Anche oggi, ogni qualvolta riascolto Parsifal, il mio pensiero rapidamente mi porta lì, a quel frammento di un estate di ormai tanti anni fa, cristallizzato da un’emozione che, anche a me, per una volta, ha detto “L’ora che senso ha? D’estate è sempre l’alba.”
ROSARIO SACCÀ
Per un fan storico come me, l'album Parsifal è quello che porterei con me nel "Domani".
MAURIZIO PICERNO
Parsifal, colui che ha visto il Santo Graal, nato e cresciuto nella foresta. Alla corte di Re Artù, diventa uno dei Cavalieri della Tavola rotonda, ed è ammesso alla vista del Santo Graal, perchè il suo cuore è puro. Ebbene, questo è il personaggio leggendario che uno dei più grandi gruppi italiani cantano (anzi, decantano). Sono i POOH nel 1973. La band ha bisogno di una svolta storica, sono da poco rimasti senza il loro bassista, Riccardo Fogli, sostituito da Red Bruno Canzian, il giovane chitarrista dei Capsium Red. In questo album l'orchestra assume un ruolo dominante, in un connubio tra gruppo e orchestra che crea un Rock sinfonico sconosciuto che esalta le gesta del personaggio di Parsifal. In tutti i bellissimi brani, Negrini da' il meglio di se in senso assoluto! Tutti i testi convergono in un solo punto: l’amore. Con l' amore possiamo superare tutte le nostre crisi esistenziali, i dubbi. Con la musica possiamo liberare tutte le nostre emozioni, cantare l'amore (quello vero). Un'album di riferimento, che ha fatto sognare intere generazioni. Senza tempo. Ancora oggi, nei concerti dei POOH, vedo cantare "insieme" vecchie e nuove generazioni, legate insieme dalla magia del loro Rock sinfonico. Orchestra e band si fondono armoniosamente insieme, creando qualcosa che non ha precedenti nella storia dei cosiddetti "complessi" degli anni '70! Voci che si fondono. Una voce infinita, quella di Roby. La chitarra di Dodi che scuote quelle sonorità da fiaba, regalandoci emozioni straordinarie. Persino nelle immagini dell'album, interpretano alla perfezione la figura dei cavalieri, con location medievali ed indossando i costumi degli attori del Parsifal di Wagner (che è leggenda, ma anche storia). Storie ed emozioni che ci sono state regalate dai nostri amici x sempre: i Pooh!
«Dossier "Parsifal i 40 anni"» si conclude qui.