Pooh: quando il tempo e' un batterista che tira - Giovedi' 28.01.2016
Sono trascorsi cinquant’anni, ma sembra solo ieri quando cinque ragazzi videro un sogno prendere forma prima con quella firma su di un contratto in un ufficio della grigia Milano di gennaio del 1966, poi con la pubblicazione del loro primo 45 giri dal titolo "Vieni fuori / L'uomo di ieri". Proprio cinque, come i Pooh che salutano il traguardo del cinquantennale ed i loro fans: questo 2016 li vedrà salire sul palco insieme come musicisti ed interpreti, ma soprattutto come amici che hanno saputo condividere gioie e sacrifici, riflettori ed ombre, stanze e chilometri, ma soprattutto sogni e musica.
In quegli inizi di anni '60 a Valerio Negrini, giovane batterista di Bologna, non bastava stare dietro i tamburi. Dentro di lui c’era un universo che fremeva per esplodere, creare nuovi mondi attraverso musica e parole, inseguire quel sogno condiviso da tanti coetanei. Coetanei come Mauro Bertoli, bolognese anche lui e chitarrista, con il quale diede inizio all’avventura che portò altri ragazzi a condividere per qualche tempo piccoli palchi e grandi speranze. In un turbinio di avvicendamenti, a partire dal 1964 ai due si unirono il cantante Vittorio Costa, il bassista Giancarlo “Charlie” Cantelli, poi il chitarrista Orlando Piccinelli, tutti contagiati dall’entusiasmo del vulcanico Valerio.
Il costante miglioramento del livello qualitativo del gruppo venne garantito anche dai cambi di formazione che man mano andarono a consolidare quello che sarebbe stato il gruppo definitivo: prima il chitarrista e tastierista Bruno Barraco, poi Mario Goretti diedero vita ai Jaguars, formazione tutta bolognese che si procurò il primissimo ingaggio ai "Dipendenti Comunali", un locale di tendenza nel centro di Bologna. Già dall’anno seguente la formazione cambiò di nuovo, con l’arrivo di Gilberto Faggioli al basso e l’inglese Bob Gillot alle tastiere; è con questa line-up che i Jaguars vennero notati da Armando Sciascia, discografico della Vedette che li invitò a Milano agli inizi del 1966 per firmare un contratto.
Lo scoprire che il nome Jaguars era già in uso da parte di un altro gruppo venne accolto di buon grado dai cinque ragazzi i quali, pur di accaparrarsi la possibilità di poter incidere il loro primo singolo, accettarono il suggerimento della segretaria tutto-fare di Sciascia di chiamarsi come il personaggio di Alan Alexander Milne anni dopo portato al successo da Walt Disney. Così nacquero i Pooh.
Questa formazione a cinque incise solo i primi due singoli del gruppo, costituiti da due cover e due brani firmati ma non accreditati ai componenti, i quali cambiarono nuovamente ancor prima di arrivare all'agognata prima meta: un album. L'LP "Per quelli come noi" vide la formazione rimaneggiata in seguito al primo grande cambiamento all'interno del gruppo, costituito dall’arrivo di Roby Facchinetti e di Riccardo Fogli a sostituire rispettivamente Gillot e Faggioli. Il “tiro” cambiò in quanto nei Pooh cominciarono ad avvicendarsi musicisti veri e propri, non più solo ragazzi animati da passione e determinazione.
Il tempo di un altro singolo e il nucleo originario vide Bertoli abbandonare il gruppo, lasciando il solo Negrini come “cuore” pulsante, non solo ritmicamente dato che insieme a Facchinetti si andò a costituire il team compositivo attorno cui si in seguito si aggregarono gli altri componenti entrati in organico.
La formazione composta da Negrini, Facchinetti, Fogli e Goretti fu quella del primo grande successo dei Pooh, il singolo “Piccola Katy” a cui seguì un album raffazzonato dalla Vedette, "Contrasto", subito ritirato dal mercato in seguito alle proteste dei quattro, prossimi al secondo grande cambiamento che segnò la storia del gruppo: l’arrivo del giovanissimo chitarrista Dodi Battaglia, il quale ricostituì con Valerio il cuore bolognese della formazione. Incisero per la Vedette un altro paio di singoli ed un album che però non riuscirono a mantenere il seguito di pubblico ed interesse che il gruppo aveva guadagnato con “Piccola Katy”.
Quando già sembrava che il bel sogno dei quattro ragazzi stesse per svanire, arrivò il contratto con la CBS promosso da un giovane produttore napoletano, Giancarlo Lucariello, il quale aveva visto il gruppo suonare dal vivo e ne era rimasto favorevolmente colpito. Iniziò così la storia conosciuta ai più, con i Pooh che, sotto l’egida di Lucariello, acquistarono man mano che la collaborazione andava avanti la consapevolezza non solo delle loro capacità interpretative, ma anche compositive. Inanellando fin dall’inizio una serie di successi come “Tanta voglia di lei”, “Pensiero” e “Noi due nel mondo e nell’anima”, i Pooh partiti anni prima dal beat per poi passare attraverso il pop sinfonico, arrivarono dopo il primo decennio di attività alla maturazione di un proprio sound che mai accantonò quella vena rock che fin dagli esordi fu sempre costante, garantita dal fondatore Negrini, tanto rocker purosangue dietro la batteria quanto sensibile ed attento come autore dei testi. Quando addirittura non innovativo per l’uso di una sintesi che mai ha sacrificato l’espressione o la chiarezza nel raccontare di amori, cavalieri o accadimenti della società, lasciando sempre che una naturale ed innata empatia riuscisse a raggiungere tante persone.
I primi tre anni in CBS ed i relativi album videro tre diverse formazioni dietro gli strumenti, passando attraverso altre due fasi decisive per la storia del gruppo. La prima vide alla fine del 1971 Negrini cedere le bacchette al batterista Stefano D’Orazio per dedicarsi alla sola scrittura dei testi del canzoniere dei Pooh, compito in cui il neo-arrivato lo avrebbe affiancato già a partire dal 1975. L’anno successivo fu la volta di Fogli, il quale lasciò il posto a Red Canzian, bassista del gruppo a partire dal 1973. Proprio la nuova sezione ritmica così costituita, interamente proveniente dall’area del progressive italiano, fu quella che garantì la spinta propulsiva al consolidamento di quel suono che il gruppo perseguiva, dimostrando una sempre crescente padronanza delle techiche strumentali e compositive con album come “Parsifal” e “Un po’ del nostro tempo migliore”, per giungere alla conquistata sicurezza che servì loro per affrancarsi nel 1976 dall’ala del produttore Lucariello e cominciare ad autoprodursi, spogliandosi da quel tipo di sonorità sinfoniche peculiari del primo lustro degli anni ’70, per aderire più strettamente a quello che era il sound del gruppo, dal vivo più tagliente ed incisivo rispetto a quanto apparisse dai solchi dei vinili. La fase successiva fu la tornitura ed il perfezionamento passando attraverso le fasi che anche i tempi e le innovazioni tecnologiche apportarono non solo al mondo della musica puramente suonata, ma anche a quella non meno importante della preparazione degli show.
Il quartetto ha superato i decenni, con uno spirito sempre attento a quanto portato dai cambiamenti della società ed anche delle mode, senza mai però cercare di cavalcarle per un facile successo, sempre rimanendo nel proprio solco e mantenendo la propria identità nonostante le alterne fortune e le profonde crisi che il mondo della discografia ha attraversato. Sempre sulla strada, sempre credendo in quel sogno i nostri hanno continuato a macinare chilometri, che fossero righe di un pentagramma o nastri di asfalto, anche quando da quartetto si sono ritrovati nel 2009 in tre per il ritiro di D’Orazio, trovando ancora una volta nuova energia grazie ad una rinnovata grinta da parte di Negrini che, deciso a far sì che il suo sogno continuasse attraverso i suoi amici, firmò le canzoni di un intero nuovo album, “Dove comincia il sole” del 2010.
Ma, proprio come loro stessi hanno cantato qualche anno fa, “Mai dire mai”! Ed ecco che, per festeggiare il cinquantennale, tornano nel gruppo non solo D’Orazio dietro i tamburi ma anche Fogli alla chitarra acustica, allo scopo di suggellare la fine della corsa. Il sogno di Valerio è sopravvissuto, anche se lui purtroppo da tre anni non è più fra noi, ma siamo sicuri che nel cuore dei suoi cinque amici che saliranno su quel palco, nelle migliaia di cuori che assisteranno ai concerti del tour “L’ultima notte insieme”, sarà proprio lì su quel palco, a dare il tempo.
Perché “C'è stagione a tutto, si sa. Il tempo è un batterista che tira: piedi per terra, che è ora!”.
Autore - Antonio Russo