Anno 1974
In gennaio i Pooh ritornano di nuovo in studio per registrare "Se sai, se puoi, se vuoi". Nonostante i palesi riferimenti al pop sinfonico, la matrice rock del gruppo è evidente, anche se fortemente stemperata dalla presenza dell’orchestra.
«Avevamo le idee molto a fuoco, sapevamo perfettamente come realizzarle. Avevamo provato quella canzone molte volte, a Roncobilaccio, prima di entrare in studio. In sala abbiamo registrato tutta la parte strumentale da soli, introducendo un mucchio di stop, di stacchi. Il pezzo cambia tempo continuamente: si ferma, riparte… È lavorando sulla struttura costruita da noi che Monaldi ha scritto la partitura orchestrale». Red Canzian
L’assistente di studio Ezio De Rosa, vecchia conoscenza di Canzian fin dai tempi dei Capsicum Red, diventerà uno strettissimo collaboratore del gruppo, interagendo da dietro al banco mixer con l’esigente Lucariello.
«Voleva quelle atmosfere che sentiva nei teatri durante i concerti. Ma in studio gli spazi erano diversi. Dovevamo ricrearli artificialmente ma con strumentazioni inadeguate. L’era del computer era ancora lontana da venire. Ci arrangiavamo mettendo l’eco dappertutto, anche nella batteria. I Pooh, in questo, erano degli innovatori. Anni dopo, al Castello di Carimate, li avrei visti applicare gli stessi principi ma con un’esperienza diversa. Avevano capito che i piani sonori non si costruiscono con l’eco ma distanziando gli strumenti: riempiendo gli spazi con frequenze diverse». Ezio De Rosa
Il singolo viene pubblicato mentre nei negozi "Parsifal" continua a vendere, raggiungendo in meno di un anno le 400.000 copie. Lucariello aveva deciso di saltare il consueto appuntamento annuale con un nuovo album, anche per consentire al gruppo di muovere consapevolmente il prossimo passo consci dell’importanza del traguardo raggiunto.
«Parsifal si era rivelato un disco importante, l’apice del lavoro svolto dal 1970 in avanti. Si imponeva una pausa di riflessione per decidere in che direzione proseguire. Tanto più che i molti impegni live del gruppo toglievano spazio alla composizione». Giancarlo Lucariello
«Si era passati da complessi che vendevano in media 50-60.000 copie, o dalle 80.000 del Banco del Mutuo Soccorso, che fecero gridare al miracolo, a numeri che superavano quelli toccati da Mina, i cui dischi vendevano, all’epoca, 200.000 copie». Red Canzian
I Pooh partono per un tour teatrale il 21 gennaio a Brescia che si conclude il 20 febbraio a Taranto, per il totale di una trentina di date. La CGD pianifica la pubblicazione di un’antologia, la prima raccolta di successi di un gruppo italiano. I Pooh, dal loro canto, ritornano in studio per registrare un nuovo singolo da pubblicare per l’estate.
Nata da uno spunto strumentale di Facchinetti ricavato dal minimoog durante il settaggio dello strumento, nasce "Per te qualcosa ancora", con le parti di mandolino suonate da Battaglia innestate su tastiere e chitarra acustica, espressione della continua ricerca di sonorità originali ed innovative che il gruppo porta avanti, per quello che è il panorama musicale italiano.
«C’era un mondo un po’ russo in quel pezzo. Un po’ russo, un po’ napoletano. Ho un ricordo bellissimo di quando lo eseguivamo dal vivo. Quel brano ha conservato intatta la sua atmosfera fantastica». Red Canzian
I Provano nel prato nei pressi dell'Hotel Roncobilaccio.
Da "Nuovo Sound" numero 47 del 19 dicembre 1975.
Il nuovo tour estivo dà anche la stura alla passione per gli effetti speciali sul palco che i Pooh faranno diventare peculiarità imprescindibile per i loro concerti, a segnare ancora di più la differenza fondamentale con gli altri complessi italiani. Si guarda all’estero, con particolare attenzione all’impatto scenico dei gruppi della scena progressive inglese. Affidata a Salvadori l’organizzazione di un tour destinato alle piazze ed alle discoteche all’aperto, viene affrontato anche l’aspetto dei suoni grazie al giovane fonico emiliano, Osiride Gozzi, che vanta già una buona esperienza sul campo, appostato dietro ad un mixer a 24 canali che insieme ad un’amplificazione da 3.000 watt potenza offre al pubblico qualcosa di inedito per un gruppo italiano dell’epoca.
«Quello a cavallo tra il 1974 e il 1975 è stato un periodo di grandi cambiamenti e trasformazioni. Nei concerti iniziavamo a inserire effetti speciali. Io avevo degli amici che frequentavano la scuola di cinematografia di Roma e appena potevo andavo a Cinecittà a vedere cosa succedeva. Ogni volta che scoprivo qualcosa di nuovo chiedevo se si poteva riprodurre sul palco. Per esempio scoprii che negli spaghetti western mettevano dei pentoloni sul fuoco e li scaldavano dai lati con la fiamma ossidrica, poi ci buttavano dentro lattine d’olio: tutto questo generava del fumo bianco. Il mio amico Baciucchi, che assieme a Rambaldi si occupava degli effetti speciali a Cinecittà, mi rivelava i segreti. E io cercavo di applicarli insieme a Renato Neri. Erano tutte cose rudimentali, realizzate da artigiani nostri amici, ma funzionavano, anche se con qualche controindicazione. Per esempio, una volta prendemmo un irroratore per eliminare i pidocchi dalle rose con una resistenza da scaldabagno che lo arroventava: allentando il rubinetto usciva del fumo. Il problema è che generava anche una puzza nauseabonda e qualche volta si incendiava. Insomma, erano tutti esperimenti molto empirici, e qualche volta abbiamo corso anche dei rischi. Come quella volta a Torino che facemmo partire una grossa fiammata vicino alla batteria. Il pompiere di turno si spaventò e mi sparò addosso tutto il contenuto di un estintore. Io feci tutto il resto del concerto coperto di polvere bianca. E la gente applaudiva alla grande pensando fosse un effetto voluto. Per un certo periodo usammo anche dei lanciafiamme. Ovviamente erano indirizzati verso l’alto. Ma una volta uno fu orientato per sbaglio verso il pubblico. Non so dire come, ma riuscii a far intervenire un tecnico all’ultimo istante, altrimenti avremmo fatto una strage. Poi c’è quella volta che rischiammo di incendiare il teatro Politeama Rossetti di Trieste, e il teatro di La Spezia aveva un soffitto altro 20 metri, eppure era pieno di macchie create dal gasolio che usavamo per sparare fiamme verso l’alto... Insomma, abbiamo creato un bel po’ di problemi in parecchi posti e le nostre macchie sono rimaste per anni sui soffitti. Per impedire che la gente, disabituata a restare seduta per un intero concerto e a rinunciare a ballare, potesse stancarsi, decidiamo di dotarci di strumenti particolari, dal violino di Red alla steel guitar di Dodi, nel tentativo di rendere più spettacolare l’esecuzione dei brani». Stefano D'Orazio
«In quel periodo ne inventavamo una al giorno, volevamo crescere, somigliare sempre più a una produzione internazionale. Volevamo offrire uno show nel vero senso della parola, e non limitarci a proporre una serie di canzoni». Dodi Battaglia
Il teatro di Budrio, alla periferia di Bologna, diventa il luogo dove il gruppo prepara e collauda gli spettacoli, un cantiere più che una sala prove. La coreografia di palco prevede una scena colorata di rosso, con la batteria dello stesso colore sullo sfondo corredata di timpani sinfonici e campane tubolari. Un giovane tornitore, Renato Neri, futuro regista delle luci dei Pooh, arricchisce con degli giochi psichedelici l’aspetto visivo.
«Fu Osiride, il nostro ingegnere del suono, a presentarci Renato. Girava con vetrini pieni di gocce di china che, inseriti in un proiettore per diapositive, creavano macchie in movimento o immagini di fulmini». Roby Facchinetti
«Su quel palco non facevamo i musicisti ma i falegnami, i fabbri, gli elettricisti. Passavamo intere giornate a costruirci le attrezzature di cui avevamo bisogno e solo la sera provavamo i nuovi pezzi». Dodi Battaglia
«Il fondale del palco era una gigantografia del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Suonavamo con il proletariato alle spalle che marciava verso di noi». Stefano D'Orazio
Pasquale Di Lauro, braccio destro di Stefano D’Orazio, è il nuovo tecnico di palco che, per seguire i Pooh, ha lasciato la band di cui era batterista. Con lui testa i trucchi più arditi nel cortile della caserma dei Vigili del Fuoco di Budrio.
L’affiatamento all’interno del gruppo cresce man mano, cominciando a creare un’entità sempre più “altra” rispetto a quella che era la figura di Lucariello, che interveniva spesso anche sull’attività live del gruppo, sempre teso alla tutela dell’immagine dei Pooh, arrivando in alcuni casi addirittura alle mani con i promoter che non rispettavano le richieste del gruppo fissate per contratto.
«Giancarlo era molto rigoroso quando si trattava di tutelare la nostra immagine e una volta alle Rotonde di Garlasco, nel Pavese, c’era qualcosa che non gli piaceva nell’organizzazione dello spettacolo. Affrontò il promoter del concerto, un impresario che aveva molti artisti importanti a contratto, e dalle parole passarono alle mani, con noi lì davanti che non sapevamo più se salire sul palco o annullare tutto». Red Canzian
I Pooh, sulla scorta dell'esperienza acquisita, sapendo di avere voce in capitolo man mano che la loro affermazione cresceva, chiedevano giustamente ai gestori dei locali, tramite i contratti stilati dalla Trident Agency, cose come il divieto di passaggio dei camerieri durante lo show e la sospensione del servizio ai tavolini, le luci spente, i camerini in ordine e quant'altro mettesse la loro immagine e la loro professionalità al riparo da eventuali danni.
«Ottenere tutto questo non era facile. E spesso ci rendeva invisi ai promoter. Ci accusavano di aver rovinato il mercato della musica live in Italia. Gli altri gruppi, ci dicevano, non avendo un impianto luci come il nostro, rischiavano di non lavorare più. Chiedevamo un palco adeguato alle nostre attrezzature ed era solo una questione di rispetto. Del nostro pubblico, innanzitutto. E invece ci rispondevano: ‘Ma cos’ha il nostro palco che non va? Ci ha suonato Casadei, che sono in 13, e voi siete solo quattro…’. Finì che cominciammo a girare con un palco nostro». Stefano D'Orazio
«Ci facevamo costruire gli strumenti appositamente, sulla base delle nostre esigenze sceniche. Dodi si era dotato di due chitarre a doppio manico, una sei corde e una dodici; io di un basso-chitarra modello Rickenbacker che imbracciavo al momento di cantare L’anno, il posto, l’ora. Attaccavo con la chitarra arpeggiando, e poi passando al basso». Red Canzian
Grazie all’intraprendenza di Salvadori, a meno di un anno dal loro tour in Nordamerica, i Pooh riescono a varcare la Cortina di Ferro per i loro primi concerti nell’Europa dell’Est. Il loro debutto avviene al Centro Congressi di Sofia, davanti ad un pubblico caloroso di migliaia di giovani, che avevano imparato a conoscerli attraverso le compilation di canzoni italiane regolarmente vendute nei negozi.
«Fu una sorpresa, inaspettata fino all’ultimo. La sera, mezz’ora prima del concerto, la sala era ancora deserta. Il Palazzo dei Congressi immerso in un silenzio agghiacciante. Sicuri di aver fatto fiasco, provammo a guardare oltre il sipario. Incredibile: la folla entrava silenziosa e ordinata, prendendo posto sulle poltrone, in un’atmosfera per noi quasi irreale. Cinque minuti prima dell’inizio, la platea era gremita e al nostro ingresso gli applausi sembravano non fermarsi più». Roby Facchinetti
Nei negozi in Italia esce "I Pooh 1971-1974", antologia ideata e curata da Lucariello per colmare il momentaneo vuoto sul mercato dei 33 giri. Raccoglieva, oltre ai singoli apparsi sui tre album precedenti, anche quelli recentemente pubblicati in quell’anno e vThe Suitcasev, la versione inglese di "Tutto alle tre", mai pubblicata in Italia.
La copertina, un omaggio alla purezza e al candore che certe melodie evocavano, apriva la strada ad un certo decadentismo ed alla ricerca di un estetismo che sfocerà nell’album successivo, che gli stessi Pooh indicano come il periodo in cui più è stata sentita dal gruppo l'influenza del loro produttore, da essi stessi ribattezzata “lucarellite”.
Il gruppo vince l'edizione di quell'anno di "Vota la voce".
I Pooh in una foto del 1973.