Dodi Battaglia: tra vocazione, volontà e ricerca del bello - Prima parte - Venerdì 19.01.2018
Lo scorso 16 gennaio Dodi Battaglia è stato ospite
dell'emittente radiofonica romana RTR 99 dove, ospite di
Fabio Martini durante la trasmissione "La Strana Nostalgia",
ha parlato di sé e dei prossimi progetti.
L'incontro si è aperto con le note del brano "Se
sai, se puoi, se vuoi", appartenente all'omonimo
singolo del 1974 anticipatore della prima raccolta edita da una
band italiana, "I
Pooh 1971-1974". Il brano, il primo che vide
Stefano D'Orazio impiegare i timpani sinfonici, ebbe la stesura
da parte di Valerio Negrini di due testi precendenti quello
definitivo: il primo raccontava della storia d'amore di una
ragazza cieca che, recuperata la vista, lasciava il suo uomo. Il
secondo parlava di una ragazza che lavorava come tassista
sull'isola di Man, la quale immaginava un'avventura romantica
con un turista.
"Se sai, se puoi, se vuoi" è uno di quei brani che avevano veramente una grande motivanzione di esistere sia sotto il profilo musicale che anche a livello di testo, quelli che hanno cambiato veramente la nostra storia. Dodi Battaglia
Invitato da Martini a condividere un ricordo relativo al brano, Dodi ha raccontato: «Un ricordo è legato a quando insieme ai miei amici e colleghi Pooh abbiamo iniziato a fare un certo tipo di musica, perché come ben sai qualcuno della critica ha detto: "Sì, sì, bravi, vendono un sacco di dischi, però fanno solo delle canzoncine". Allora noi ci siamo detti, ci siamo guardati in faccia: "Gliela facciamo vedere noi a questi critici che cosa siamo in grado di fare!". Ed è stato probabilmente insieme a "Parsifal" e altri brani come "L'anno, il posto, l'ora", uno di quei brani che avevano veramente una grande motivanzione di esistere sia sotto il profilo musicale che anche a livello di testo, quelli che hanno cambiato veramente la nostra storia. "Se sai, se puoi, se vuoi" è un brano con due, tre, quattro parti musicali dierse che sono combinate assieme in un miscuglio magico, per cui sì, rappresenta quella che è stata la vera forza dei Pooh, non tanto di fare "Piccola Katy" o "Tanta voglia di lei", quella di portare avanti a un certo punto questo discorso, di sovvertirlo, di essere quasi prog, di essere di rottura. Di conseguenza non fare più i locali da ballo, i teatri, ma di cominciare a fare gli stadi, di avere una proiezione molto pià ampia della loro musica».
Alla domanda su cosa sia la nostalgia per un musicista, Battaglia ha risposto: «Ripensando a quei momenti, ai tanti momenti che ho vissuto ed è questa una cosa che mi accade praticamente ogni sera che vado sul palcoscenico e che ripercorro in gran parte quella che è stata la storia dei Pooh, per ogni canzone mi si para davanti uno scenario di vita perché in cinquant'anni sono cambiate le città dove abbiamo vissuto, abbiamo cambiato le compange, abbiamo cambiato i collaboratori, abbiamo cambiato giro di amici e per ognuna di queste canzoni mi viene in mente una collocazione diversa. E devo essere altrettanto sincero, quando penso a questi momenti non posso fare altro che sorridere di compiacimento perché [...] mi riguardo e ci riguardo con carineria [...], con tenerezza in un certo senso, perché credo che rivedendoci a fare queste cose con grande forza, con grande convinzione, investendo tempo, denaro, passione in quello che abbiamo fatto è una cosa, vista da grandi, molto da ragazzini che hanno grande voglia di portare avanti il loro mestiete. Forse è la tenerezza la cosa che mi fa pensare più a me stesso: mi rivedo in giro per New York a cercare nuove chitarre, andare a comprare dei metodi musicali, McLaughlin, i nuovi chitarristi degli anni '70, perché qui in Italia non c'era ancora la possibilità di leggere queste cose. Per cui mi rivedo e ci rivedo con carineria, con affetto».
Clicca per ingrandire
Quando noi facevamo i dischi era perché avevamo una grande, grande vocazione, una grande volontà, un grande desiderio di fare sentire agli altri le cose che noi ritenevamo essere belle. Dodi Battaglia
La discussione si è poi spostata sulla differenza di volumi di
vendita della musica negli anni '70 rispetto a quelli odierni.
Dodi ha raccontato del suo rapporto con i dischi in vinile:
«Sono stato uno dei più grandi compratori di dischi e ho
continuato a comprarne fino agli anni '90. Io avevo una casa a
Milano, da un grande negozio di dischi uscivo ogni volta con non
meno di 10, 15 dischi perché faceva parte del mio mestiere, mi
piaceva tenermi informato. Fino a che un giorno [...] è iniziato
il grande momento della pirateria, del concetto che ormai era
stato radicato: "Perché devo pagare dei quattrini per
comprare la musica se la posso avere gratis?" [...]. Sono
andato avanti ancora per onestà intellettuale a comprare i
dischi. A oggi nel fare i dischi hai spesso la possibilità di o
guadagnare poco o magari anche di rimettere dei quattrini: ci
vuole veramente del coraggio, bisogna avere delle grandi
motivazioni per fare un disco, oppure ci vuole un progetto
che abbracci, come ben sappiamo, un discorso discografico e di
serate, piuttosto che di edizioni. Ormai non è piu il discorso
del disco fine a se stesso che deve stare in piedi: poi si fanno
le serate e poi ci sono la SIAE e le edizioni musicali. Ognuna
di queste cose va a confluire nell'altra [...]. Orma il fatto di
fare un disco è diventato una operazione che non può essere
estrapolata dal discorso concerti, dal discorso di guardare
avanti, al di là di quello che è il disco stesso. Una volta si
faceva il disco più bello possibile perché si doveva fare la
musica, la canzone che doveva entrare nella storia, nel
quotidiano, che doveva accompagnare un'estate. Adesso si fa un
disco per una serie di operazioni. Però ecco, devo dire che non
mi ritrovo molto in questo tipo di concetto, della serie: "Facciamo
un disco perché dobbiamo fare il tour, perché dobbiamo fare le
edizioni". Mi ricordo che quando noi facevamo i dischi
era perché avevamo una grande, grande vocazione, una grande
volontà, un grande desiderio di fare sentire agli altri le cose
che noi ritenevamo essere belle. Oggi la motivazione è un
pochino più "raffreddata", è un progetto ecomomico
probabilmente perché chi deve investire nei dischi stessi
rischia a volte appunto di lasciarci la "zampetta" a
livello di investimenti».
Poi, alla domanda di citare una canzone che gli fa strana
nostalgia, per poi mandarla in onda, Dodi ha spiegato: «Una
canzone che mi fa strana nostalgia e che mi fa pensare a me
ragazzino quando oltre alla chitarra elettrica ho cominciato a
imbracciare anche l'acustica, è un brano di James Taylor che si
chiama "You've got a friend"».
Si impara sempre dagli altri, sentire come si esprimono e si porta avanti la propria maniera di fare musica. Dodi Battaglia
Martini: «Nelle varie tournée c'era tempo anche per te per
ascoltare musica anche di altri?».
Dodi: «Direi proprio di sì anche perché, come abbiamo detto
poc'anzi, c'era ancora questa grande voglia di musica, questo
precipitarsi nei negozi ad acquistare l'ultimo disco di, come
abbiamo sentito, James Taylor piuttosto che dei Chicago, dei Led
Zeppelin e questa era l'occasione. Poi durante i lunghi viaggi
che facevamo mettevamo su la cassettina a rotazione e cominciare
da Milano per arrivare a Reggio Calabria ormai la sapevi a
memoria. Non è la stessa fruizione che c'è oggi della musica:
oggi mi rendo conto che se io stesso ho viglia di sentire un
brano, entro in Internet piuttosto che con il mio abbonamento e
lo sento. Ai tempi c'era più attenzione, nel senso che andavi a
comperare un disco e stavi a sfrugugliare all'interno di questo
disco quelle che erano le varie cose che l'artista voleva dire,
i vari suoni, dove era stato registrato, le copertine... Era una
maniera molto più attenta di ascoltare musica, molto più vicina
e allora quando ascolti musica con l'attenzione di cui ti sto
parlando succede che chi è musicista poi impara a suonare... si
impara sempre dagli altri, sentire come si esprimono e si porta
avanti la propria maniera di fare musica».
Fine prima parte - Continua...
Autore - Michaela Sangiorgi