Pooh - Notizie e novità del 2018 - Aprile

Stefano D'Orazio a RTR 99 - Prima parte: Il Punto e il rapporto con i genitori - Mercoledì 25.04.2018

Stefano D'Orazio

Lo scorso 14 aprile Stefano D'Orazio, batterista dei Pooh e sceneggiatore di musical, è stato ospite della romana Radio RTR 99, in studio con Fabio Martini nel corso della trasmissione "La Strana Nostalgia".
La lunga chiaccierata ha preso il via trattando delle origini musicali di D'Orazio, quando mosse i primi passi come batterista in un gruppo romano e "E' il mio mondo" del 1971 fu il primo singolo a cui prese parte. «E' una delle prime canzoni che ho scritto», ha spiegato Stefano. «Il Punto si chiamava il gruppo con il quale io militavo prima di entrare nei Pooh. Era una canzone che ci faceva chiamare fuori da tutti quelle che erano le convenzioni di allora: facevamo quelli che protestavano [...] ed era la nostra prima canzone che abbiamo inciso appunto come Il Punto».
Martini ha poi osservato come quelli fossero tempi diversi ed ha chiesto quali ricordi tale brano gli riportasse alla mente. «Sì, poi affiorano i particolari» ha risposto il batterista, «sento partire questa canzone e ricordo che eravamo in una sala della RCA che stava in Via Tiburtina, era una antica casa discografica [...], ha fatto la storia della musica italiana. Lì dentro anche coloro che non erano della RCA, io non ero della RCA, andavano ad incidere perché c'erano la sala A, la sala B, la C, la D e ognuna con delle caratteristiche per tirar fuori un prodotto che all'epoca si pretendeva fosse bello. Io mi ricordo che per incidere questa canzone la casa discografica con cui noi stavamo aveva affittato la sala D, che è l'ultima delle sale, per un'ora. Noi in un'ora abbiamo dovuto montare gli strumenti, fare il soundcheck; c'erano molte meno piste, per cui la batteria, il basso, la chitarra e le voci tutto insieme appassionatamente, tranne le voci che abbiamo poi reinciso a fine base e questa roba qui è durata praticamente venti minuti. Però nonstante questo si avverte una energia, una voglia, una particolarità di suono che oggi viceversa è tutta omogeneizzata da tutte le diavolerie che in qualche modo ci aiutano a tutti, fin troppo, a fare la bella musica».

1970, Il Punto - Clicca per ingrandire

Scrissi questa canzone che raccontava l'itinerario di vita che i miei genitori avevano fatto e con me e con mia sorella abbiamo dato vita a questa famiglia che sembrava quella del Mulino Bianco. Stefano D'Orazio

Dopo l'ascolto di "50 primavere", brano pubblicato dai Pooh nel 1992 nell'album "Il cielo è blu sopra le nuvole", Stefano ha raccontato: «Era una musica di Dodi, si stava ragionando su cosa raccontarci sopra: le canzoni cambiano moltissimo dal tipo di sonorità e di arrangiamenti che gli dai. Quando "vesti" una musica in una certa maniera ti porta a raccontare alcune emozioni, se la vesti in un altro modo diventanto altre. Nata dall'idea di questa chitarra romantica che segnava la base, venne fuori questa cosa che mi suggerì proprio Roby che mi disse: "Senti, siccome in questi giorni i tuoi genitori festeggiano cinquant'anni di matrimonio, perché non fai un omaggio, una storia su di loro?". Questa cosa mi piacque molto, scrissi questa canzone che raccontava l'itinerario di vita che i miei genitori avevano fatto e con me e con mia sorella abbiamo dato vita a questa famiglia che sembrava quella del Mulino Bianco [...]. Non ho mai sentito litigare mio padre e mia madre per tutta la vita, poi magari lo facevano, ma lo facevano lontano da me e da mia sorella. Per cui c'era sempre questa sensazione di armonia: noi facevamo colazione insieme, cosa che si vede soltanto nelle pubblicità. Noi la mattina ci si sedeva, a pranzo tutti insieme, si raccontava cosa era successo a scuola e lì davo fondo a tutte le mie bugie per salvarmi, perché facevo dei danni irreparabili. Poi avanti, fino alla sera dove succedeva che c'era una sorta di bilancio e promesse per il futuro. Questa strategia di vita che in qualche modo mi ha insegnato a vivere, era una maniera di aggiornare senza bisogno di un diario, aggiornare quotidianamente quello che in qualche modo ci accadeva e quello che avremmo sperato dovesse accadere e questa roba me l'hanno insegnata loro, quindi è una canzone piena di sentimento nei loro confronti. Tra l'altro loro hanno festeggiato questa cosa, mi ricordo che la cantai accompagnato dal Maestro Mazza, a casa mia avevamo fatto una cosa in piscina il giorno del cinquantennale, il 25 aprile di quell'anno lì: accompagnato dal pianoforte di Mazza io cantai questa canzone che non era stata ancora incisa e quindi mi ricordo la grande emozione mia, loro e degli altri che erano intorno a me».

Non mi hanno impedito mai di fare questa cosa. Un giorno invece mi accorsi che mio padre stava diventando complice di questa mia passione. Stefano D'Orazio

Martini ha domandato come i genitori di Stefano abbiano vissuto il suo avvicinamento alla musica. «Non mi hanno supportato» ha spiegato D'Orazio, «ma mi hanno in qualche maniera lasciato fare, nel senso che mio padre e mia madre non condividevano assolutamente questa mia voglia, questa mia idea, perché diceva: "Fai quello che devi fare: se deve essere un gioco, gioca, però non te la proiettare nella tua fantasia come un qualcosa che possa essere la tua vita". Però non mi hanno impedito mai di fare questa cosa. Un giorno invece mi accorsi che mio padre stava diventando complice di questa mia passione. Andavo a scuola veramente male, frequentavo di malavoglia, non ci andavo, mi nascondevo, firmavo libretti di giustificazione [...]. Ricordo che avevo comprato dei pezzi della batteria tutti di colori diversi perché compravo un tom da uno che se lo vendeva perché non aveva i soldi per pagare la cambiale dell'anno dopo e quant'altro e quindi mi trovavo con questa "macedonia" di tamburi e inventai la batteria bianca, che non esisteva all'epoca, perché comprai la carta adesiva e smontai tutte le meccaniche e mi misi a ricoprire questa cosa. E questo l'ho fatto a casa [...] e siccome mettere la carta adesiva sui tamburi non è una cosa facile perché vengono le bolle, mi ricordo che mio padre mi aiutava. Lì io capii che mi stava lasciando fare il mio percorso e questa cosa mi ha grandemente entusiasmato. Poi siccome vedeva che tutte le volte che suonavo anche a casa era la sommossa del condominio, la batteria mi "camminava" perché io picchiavo sul pedale della cassa e la cassa cominciava a camminare, arrivava in corridoio e allora si inventò lui, io l'ho avuto per primo ma poi l'abbiamo fatto tutti nei millenni successivi, la pedana della batteria, cioè una pedana con tutti i fermi per fare in modo che anche se la capottavo la batteria rimaneva lì. Io mi ricordo questa cosa al Festival di Caracalla con Il Punto: entravano queste due casse con tutti questi tamburi e quant'altro, che ci sarebbe voluto quaranta minuti per montarla e fissarla con i chiodi sul palco di Caracalla. Questa batteria entrava e usciva perché ogni volta che c'era il ritardo di qualcuno dicevano: "Mandiamo Il Punto che è pronto!" e quindi entrava la mia batteria sulle rotelle, arrivava dentro, poi io mi lamentavo perché volevo suonare la sera a Caracalla perché c'erano luci, noi avevamo anche le luci già e quindi non volevo suonare di giorno, per cui quando mi mettevano dentro la batteria sparivamo [...]».
Martini: «Tuo padre a un certo punto è stato al tuo fianco».
Stefano: «Mi ha detto: "Non potrai suonare il tamburo tutta la vita, però se adesso è questa la cosa che tu vuoi fare allora falla, però falla con grande impegno perché le cose fatte a metà non portano da nessuna parte". Però questa storia di dire: "Ma non vorrai suonare il tamburo per tutta la vita?" me l'ha continuato a dire per vent'anni, per cui un giorno gli dissi: "Papà guarda che..." perché lui ripeteva la frase di Mogol di Morandi, "Uno su mille ce la fa". Dico: "Ma papà non so come spiegartelo: ce l'ho fatta! C'ho i Telegatti!"».

L'idea di mettermi un attimo in discussione, di vedere se ero in grado di immaginarmi un altro tipo di di percorso, un'altra strada, un altro traguardino, quello ha significato molto e mi faceva venire in mente "Non puoi suonare il tamburo tutta la vita". Stefano D'Orazio

Martini ha domandato quanto la frase "Non puoi suonare il tamburo tutta la vita" abbia influito sulla sua decisione di abbandonare i Pooh, avvenuto nel 2009. «Non poco francamente» ha spiegato Stefano. «Quella scelta la feci proprio in virtù dell'idea che ormai avevo sessant'anni e che nella vita avevo fatto solo il Pooh, non mi ero affacciato in nessun'altra idea: anche se è stato un percorso meraviglioso, straordinario, bellissimo, c'erano un sacco di altre cose che mi ero perso perché effettivamente per fare le cose fatte bene noi ci siamo dedicati a tempo pieno. Io sentivo che tutto mi cominciava ad andare stretto. Ormai era tutto scontato, usciva il disco e andavamo in classifica, alla tournée veniva un sacco di gente... e non dovevamo forse neanche più sbatterci per ottenere questi risultati perché eravamo entrati in una sorta di dimensione di routine, una routine meravigliosa ma pur sempre routine. Per cui l'idea di mettermi un attimo in discussione, di vedere se ero in grado di immaginarmi un altro tipo di di percorso, un'altra strada, un altro traguardino, quello ha significato molto e mi faceva venire in mente "Non puoi suonare il tamburo tutta la vita"... c'hai ragione, vediamo che altro possiamo fare».
Martini: «C'è una cosa che avresti voluto dire ai tuoi genitori e non gliel'hai detta?».
Stefano: «Forse ciò che è successo dopo che se ne sono andati, forse qualcosa di ciò che mi è successo poi. Mi sarebbe piaciuto condividerlo con loro nel bene e nel male, anche le cose più faticose e dolorose, la perdita di qualche amico e quant'altro. Ma in generale devo dire che nel nostro percorso di vita loro sono sempre stati molto discreti, ufficialmente fuori dal mio mondo, ma erano sempre lì, per cui abbiamo avuto una complicità che sicuramente è stata importante, perché mi ha portato poi a crescere, però con dei valori che loro mi rappresentavano anche se non dicevano niente: il solo fatto che loro si muovevano come si muovevano mi faceva credere che non mi sarei dovuto muovere diversamente perché quella roba lì era la vita».

 

Fine prima parte. Continua...

Autore - Michaela Sangiorgi