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Stefano D'Orazio a RTR 99 - Terza parte: "Opera Prima", i primi tempi nei Pooh, le dinamiche del gruppo - Venerdì 27.04.2018

Stefano D'Orazio

Lo scorso 14 aprile Stefano D'Orazio, batterista dei Pooh e sceneggiatore di musical, è stato ospite della romana Radio RTR 99, in studio con Fabio Martini nel corso della trasmissione "La Strana Nostalgia". Nella prima parte del resoconto dell'intervista ha parlato de Il Punto e del suo rapporto con i genitori, mentre nella seconda parte di Valerio Negrini e di "Eleonora, mia madre", il primo brano da lui scritto come paroliere.

Il disco più bello e quello che è stato il più importante secondo me è quello in cui io non c'ero, è "Opera Prima". Stefano D'Orazio

Stefano ha condiviso una lunga riflessione sull'LP per lui più significativo: «Io credo che non bisogna assolutamente infastidirsi, né rinnegare quella che è stata la tua vita e tutto sommato nel mio caso la mia fortuna. Il disco più bello e quello che è stato il più importante secondo me è quello in cui io non c'ero, è "Opera Prima": sarà perché io me lo sono talmente assimilato come se fosse invece di altri. Dentro ho trovato "Un caffé da Jennifer", la stessa "Opera prima", delle poesie di Negrini accompagnate da una melodia straordinaria di Facchinetti [...]. Loro lo avevano inciso che io ancora non facevo parte del gruppo: lo hanno inciso ad aprile, io sono entrato a settembre. Me lo sono trovato in mano per tantissimo tempo: c'era Lucariello che mi diceva: "Lo devi portà sempre con te!" [...]. Là dentro ho trovato veramente un gran passaggio perché ti dirò, con grande onestà, io venivo da Il Punto dove facevamo questa musica che si chiama "underground" che era in qualche maniera sotto terra veramente, in quanto non ci facevano uscire dalle cantine [...]. Quindi sentire i Pooh del percorso che era diventato ufficiale, perché poi anche i brani importanti, "Brennero 66" e quant'altro erano meno commerciali, la Rai non li passava per motivi anche di censura, quindi io identificavo i Pooh con "Mary Ann", "Piccola Katy", "In silenzio", tutte straordinarie melodie, ma che alla fine erano canzoni e basta. Quando io mi stono trovato invece a studiare i Pooh, prima di entrare nel gruppo, ho scoperto veramente un mondo che non era quello chiamiamolo "pluriprogrammato", che aveva invece delle valenze straordinarie, che potevano benissimo essere considerate underground.
Diciamoci una cosa: alla fine tutti pensavano all'epoca che tutti coloro che arrivavano al successo erano delle spaventose "pippe", perché in effetti i dischi li facevano dei turnisti. Il più delle volte le canzoni anche dei gruppi dell'epoca le incidevano i Quelli, che poi diventarono PFM: erano dei musicisti straordinari. Quindi avevano questo grande talento che appariva sul disco, poi quando invece andavi a suonare dal vivo ti tiravano le banane perché non riuscivano a imitare né i suoni, né quello che succedeva all'interno di questi dischi. Per cui c'era questa mentalità per cui chi arrivava ad Hit Parade alla fine poi non sarebbe dovuto arrivare da nessun'altra parte perché vuol dire che quando poi andavi a suonare dal vivo c'erano dei problemi seri. Nel nostro caso questo non era, perché i Pooh erano dei musicisti straordinari. Io mi ricordo che con Il Punto, due anni prima di entrare, facevo da spalla ai Pooh perché avevamo lo stesso manager, Tuccimei, che ci mandava a suonare: loro facevano quarantacinque minuti, fare la spalla significava che invece io suonavo tutta la notte. Poi arrivavano loro, facevano attrazione, suonavano questi quarantacinque minuti, al massimo due uscite da quarantacinque minuti e devo dire che questi suonavano all'inverosimile: non c'era assolutamente questo riferimento alla mediocrità che viceversa aleggiava su tutti quelli che facevano successo all'epoca».

Siccome venivamo da queste esperienze puntuali, che quando ci annunciavano ci fischiavano, avevamo inventato un inizio, un pezzo che era molto difficile anche da eseguire, molto progressive. Stefano D'Orazio

D'Orazio ha poi proseguito raccontando delle prime serate con i Pooh: «Ricordo che ai primi tempi che io suonavo facevamo le balere, appena entrato nei Pooh. Mi ricordo che c'era sempre il disc jokey della balera che annunciava l'attrazione, nella fattispecie eravamo noi: avevamo già fatto "Pensiero", "Tanta voglia di lei", "Opera Prima" era in giro ed era primo in classifica, anzi ce n'erano due: primo e terzo "Tanta voglia di lei" e "Pensiero", così per un po' di tempo. Quindi eravamo molto nell'aria. C'è un aneddoto divertentissimo: io ero entrato da due, tre mesi e in una balera a Pisa il disc jokey disse: "Ora reduci dai successi della Hit Parade i Pooh!". Una fischieria! Siccome venivamo da queste esperienze puntuali, che quando ci annunciavano ci fischiavano, avevamo inventato un inizio, un pezzo che era molto difficile anche da eseguire, molto progressive, tutte robe complicatissime e mettevamo a tacere questa convinzione che non fossimo in grado di suonare. Facemo due, tre minuti, quattro di robe improbabili ma estremamente difficoltose che facevano dire: "Scusa, ma questi qua non erano quelli di "Piccola Katy"?". Qualche dubbio nella loro certezza di credere che noi fossimo delle "pippe" potevamo un po' insinuarlo. Mi ricordo che finisce il primo pezzo e quindi la fischieria si era placata e da lontano si sente un fischio. Noi attacchiamo il pezzo successivo, applausi, nel frattempo confidenzializziamo con il pubblico e fischio. Al terzo pezzo io, ero poco Pooh ancora, ero ancora molto ruspante: "C'è una cominicazione di servizio: c'è un signore in sala che deve essersi dimenticato un uccello in bocca. E' pregato di toglierselo dalla bocca e infilarselo nel cu*o!". Applauso di tutti. C'era Lucariello in platea, m'ha aspettato fuori, avvelenato ed io sono andato via dai Pooh! Ho preso la mia valigia dalla camera che stava sopra la balera che ci avevano dato come camerino e con sta valigia, senza farmi accompagnare da nessuno volevo andare alla stazione di Pisa [...]. "Tu queste cose le dici con Il punto!".
Io ero un po' infastidito da questa cosa qui e usavo il mio linguaggio: avevo già fatto dei danni irreparabili con Il Punto durante il Caracalla, quando suonavamo nella seconda notte arrivarono i Carabinieri, dissero che dovevamo assolutamente abbassare i volumi. Siccome Caracalla era famosa allora, perché tutto intorno Caracalla era popolatissimo da "passeggiatrici", per dirlo nel senso buono [...]. Arrivarono i Carabinieri proprio sul palco e io dissi a quel punto [...]: "Ci stanno dicendo che dobbiamo abbassare i volumi perché si sono lamentate tutte le tro*e qui intorno!" [...]. Faceva ridere questa roba quando uno la diceva soprattutto in quell'epoca in cui la dissacrazione passava attraverso pochissimo: bastava dire questa parolina qui e tu eri uno avanti da morire! Rinnovai questa cosa proprio là dentro dell'uccello che se l'era dimenticato in bocca e andai via dai Pooh. Poi mi venne a recuperare Facchinetti. Andammo su, avevamo due stanze: una stanza si cambiava Facchinetti e Fogli, nell'altra io e Dodi. C'era Roby che faceva su e giù e facemmo pace prima del concerto della sera, perché avevamo pomeriggio e sera. Ma con delle regole precise [...] e quindi praticamente si ricompose la cosa e io non mi permisi mai più [...]. Facchinetti sapeva mediare molto, molto bene».

Tutti questi aneddoti, storie, percorsi, in qualche modo hanno segnato la nostra storia: noi siamo figli di quelle notti in macchina, figli di quei nostri discorsi, figli di quelle nostre discussioni. Stefano D'Orazio

Stefano ha spiegato quali erano le dinamiche interne: «Facevamo il "processo alla tappa" dopo il concerto. Partivamo per andare nella città del giorno dopo e avevamo deciso, invece di viaggiare in quattro macchine e spendere quattro benzine, quattro autostrade, quattro notti insonni, di comprare una Mercedes gialla:quando noi ci fermavamo in qualunque città ci salivano dietro e "Alla stazione per favore!", perché pensavano fosse un taxi. Noi con questa così partivamo e cominciava... non era una lite, perché avevamo messo una regola per cui dei problemi della sera [...] bisognava lasciar decantare, non si parlava, si parlava di quelli di due giorni prima ma era uguale, per cui si discuteva, un "processo alla tappa" [...]. Queste erano le nostre discussioni, ma sempre e soltano non caratteriali, sempre molto lavorative: noi discutevamo su come dovevamo organizzare la scaletta del concerto della settimana dopo, come potevamo viaggiare per arrivare prima. Avevamo le tabelle di marcia in macchina, nel cruscotto, quanti chilometri ognuno percorreva per non litigare, perché succedeva, che litigavamo della serie: "Io non ce la faccio più, ho sonno" [...]. Là scrivevamo la tabella con quanti chilometri ognuno faceva da quando saliva al volante a quando arrivavamo e i chilometri di notte valevano il doppio [...]. Tutti questi aneddoti, storie, percorsi, in qualche modo hanno segnato la nostra storia: noi siamo figli di quelle notti in macchina, figli di quei nostri discorsi, figli di quelle nostre discussioni. Abbiamo vissuto la nostra storia veramente con una grande intensità e questo poi ha dato dei risultati in qualche modo. Stavamo sempre sul pezzo, come si dice».

De Gregori per quanto mi riguarda è il più grande autore emozionale non convenzionale che ha scritto pagine incredibili della musica. Stefano D'Orazio

Fabio Martini ha posto una domanda interessante: qual è un artista che si è rivelato importante per D'Orazio? «Io provo delle emozioni incredibili ad ascoltare De Gregori», ha rispostp Stefano. «Quello che ha fatto e quello che fa a tutt'oggi. Se io sento "La donna cannone" o qualunque delle sue situazioni creative importanti, io ho delle emozioni vere, che si ripetono [...]. Anche se una canzone l'ascolti una volta, due, cento, mille, alla fine scopri sempre qualcosa che ti è sfuggito il giorno prima, se ti piace fino in fondo. Per esempio De Gregori per quanto mi riguarda è il più grande autore emozionale non convenzionale che ha scritto pagine incredibili della musica. Mi dispiace di non poter dire contemporaneamente più di un nome di questo tipo, De André piuttosto che Dalla... Sono tutte cose del passato remoto [...] probabilmente perché le nostre emozioni sono più facilmente accendibili quando hai una età più chiamiamola "ingenua", quando per la prima volta ti stupisci di un qualcosa. Quando poi ti abitui allo stupore inevitabilmente tutto diventa dovuto: tu ti aspetti che esca domani mattina una canzone di un qualcuno che tu stai stimando tantissimo e lo metti in confronto con se stesso [...]. Quello succede anche per il nostro pubblico perché, probabilmente legato a un certo tipo di nostra produzione che è durata tantissimi anni, se domani mattina qualcuno di noi propone una novità comunque riesce a mettersi sempre in paragone, in conflitto, in concorrenza con se stesso e la concorrenza ti fa perdere».

 

Fine terza parte. Continua...

Autore - Michaela Sangiorgi