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Stefano D'Orazio a RTR 99 - Quarta parte: l'evoluzione della musica, l'epilogo dei Pooh, la ragazza del tram - Sabato 28.04.2018

Stefano D'Orazio

Lo scorso 14 aprile Stefano D'Orazio, batterista dei Pooh e sceneggiatore di musical, è stato ospite della romana Radio RTR 99, in studio con Fabio Martini nel corso della trasmissione "La Strana Nostalgia". Nella prima parte del resoconto dell'intervista ha parlato de Il Punto e del suo rapporto con i genitori, nella seconda parte di Valerio Negrini e di "Eleonora, mia madre", nella terza parte dell'album "Opera Prima" e dei primi tempi nei Pooh.

Il giorno che io e mi sta già succedendo, non capirò la musica di chi me la propone, vorrà dire che sta cambiando qualcosa. Stefano D'Orazio

Fabio Martini ha osservato come Stefano D'Orazio abbia rivestito all'interno dei Pooh anche un importante ruolo manageriale e organizzativo, per poi domandargli cosa ne pensi della musica attuale.
Stefano: «Quando ho cominciato a suonare mi dicevano che la mia musica (ma era la musica di quel momento dove duecento complessi nelle cantine romane facevano quelli che suonavano) era rumore, non era musica, mi dicevano questa cosa qua. Il non capire che stava cambiando la musica è stata l'innovazione: la vecchia generazione non poteva condividere quelle robe e guardacaso di conseguenza quella musica era musica nuova. Il giorno che io e mi sta già succedendo, non capirò la musica di chi me la propone, vorrà dire che sta cambiando qualcosa, perché negli utimi cinquant'anni, anche qualche minuto di più, noi che facciamo musica [...] abbiamo rifatto noi stessi in qualche modo, la formula delle nostre canzoni è molto simile: abbiamo l'introduzione, la strofa, la seconda strofa, poi l'inciso, racconti una cosa, la evolvi, nell'inciso la porti all'apice e poi di nuovo il dopo nella strofa successiva, poi il finale. Questa confezione di proposta musicale è quella che valeva per Morandi, valeva per i New Trolls, valeva per i Pooh, valeva per la PFM, valeva per tutti fino ad arrivare quasi ai nostri giorni. Adesso si cominciano a sentire delle cose che non rientrano in questo meccanismo e magari chi è legato a quella formula lì dice: "A me questa musica non mi piace, è rumore". Vuol dire che qualcosa sta cambiando e il cambiamento è sempre positivo perché vuol dire che ci farà dire per un po' di tempo: "Tutto questo non è plausibile, non funziona". Ma vedi che i ragazzini, quelli che tu consideri ragazzini, invece sono gli uomini di domani mattina, sono quelli che in qualche maniera apprezzano questa cosa perché la capiscono, perché gli somigliano, perché gli sta addosso e quindi diventerà la musica poi mi auguro dei prossimi venti, trent'anni con la possibilità anche di dire: "Questa musica qui è quella che vale, quella importante", come ci sentiamo dire noi [...]. Diamo un po' di coraggio a quelli che invece vogliono tentare di uscire da questo sentiero».

Sicuramente l'andata via di Valerio è stato un grosso problema per la carriera dei Pooh, sicuramente ne hanno risentito, ne abbiamo risentito. Stefano D'Orazio

Martini ha spostato il discorso sull'epilogo dei Pooh, domandando quanto la scomparsa di Valerio Negrini, fondatore e paroliere del gruppo, abbia influito sullo scioglimento.
Stefano: «Da un punto di vista di letteratura "poohica" l'andata via di Valerio è stata molto pesante. Valerio era quello che faceva la differenza, nel senso che una bella canzone diventava molto bella perché c'era dentro una bella storia. Ci sono esempi di bellissime melodie che magari suffragate da storie banali alla fine non funzionano: lui era in grado otto su dieci di mettere dentro degli ingredienti di grande emozionalità. Sicuramente l'andata via di Valerio è stato un grosso problema per la carriera dei Pooh, sicuramente ne hanno risentito, ne abbiamo risentito perché io stesso poi nell'andare a vedere qual era il percorso che miei colleghi portavano avanti mi rendevo conto che si faceva una gran fatica a riproporre delle cose nuove che avessero una valenza, un valore e quindi ecco lì che si ricominciano a rifare le compilation, i live, i riadattamenti perché vai a ripescare, giustamente, in quello che è stato il tuo tempo migliore. Questa formula può essere anche molto lunga, non è che dici che lo fai una volta e non lo fai mai più: lo puoi fare tantissime volte ancora perché il rispetto di chi ha percorso con te un itinerario potrebbe riuscire a mantenere un artista di successo indipendentemente dal fatto che faccia delle cose nuove. Questa cosa è per esempio quello che mi viene in qualche maniera contestato dal tassita in poi [...] e ogni volta c'è da spiegare che probabilmente, per quanto mi riguarda almeno, nel momento in cui io mi sono reso conto che tutto quello che potevo dire l'avevo già detto, in qualche modo mi faceva fatica a cercare di andare a cercare delle nuove cose da raccontare quando non ce le avevo dentro.
Diciamo che la formula sarebbe quella che per esempio utilizzano dei straordinari artisti: i Rolling Stones sono venticinque anni che non fanno una canzone nuova, partono in tournée, è una sorta di museo viaggiante dove portano in giro tutti i loro reperti che sono in qualche modo straordinari e la gente è felice e contenta perché rivede in quei momenti, in quelle aggregazioni tutto quello che è stato, le emozioni che quelle canzoni gli hanno dato nell'arco della vita. Questo può succedere per i Pooh, può succedere per Baglioni, può succedere per tutti quelli che hanno scritto dei momenti che non è detto che se non rinnovano degli altri vengono a essere cancellati: possono nuovamente esistere. I Pooh possono resistere e suonare ancora per forse altri quarant'anni se la salute in qualche modo a qualcuno glielo permette. Però la verità vera è che forse, come artisti, la soddisfazione di rifare se stessi è un pochino meno stimolante che non l'idea "ti propongo qualcosa di nuovo". Questa qui è più una esigenza, una pretesa dell'artista, di riemozionarti in qualche maniera. L'accettare viceversa di rirecitare se stessi, usiamo questa parola che non è bellissima, ma in qualche modo è quello che forse te che lo fai e chi ti sta ascoltando vuole da te».

Martini ha osservato come quella di lasciare i Pooh sia stata per D'Orazio una delle decisioni più importanti della sua vita.
Stefano: «Ci ho messo tre anni a far metabolizzare questa mia scelta perché l'ho annunciata tre anni prima: "Io a quella scadenza contrattuale lì vorrei cercare di vedere cos'altro c'è nel pianeta". All'inizio è stata presa come un momento di stanchezza, poi dopo come un gioco [...]. Probabilmente i miei colleghi hanno realizzato durante la conferenza stampa del mio addio alla scadenza dei tre anni che avevo annunciato a loro, lì si sono resi veramente conto che le cose stavano così, cioè che io me ne stavo veramente andando. Sì, è stato faticoso anche nei miei confronti, io stesso ho fatto una grande fatica a staccare la spina da una situazione dove tutto andava bene: [...] sempre bello, bello, bello, alla fine dici "Ok!" e "Oppure?". Io mi sono detto "Oppure?", ma voglio dire: è stata una mia esigenza perché chi viceversa chi in questa situazione stava benissimo ha continuato a farlo come io gli suggerivo: "Non vi fermate voi che avete questa energia, questa voglia, questo entusiasmo ancora di fare questo tipo di vita, questo tipo di mestiere". E' il mestiere più bello del mondo, per'altro».

Io suono la batteria con i Pooh e dal momento che i Pooh abbiamo deciso che devono lasciar stare di fare questo percorso, la batteria rimane zitta. Stefano D'Orazio

Martini ha domandato quale sia stato il destino della batteria. «Io quando faccio una cosa la faccio per bene», ha spiegato Stefano. «Quando son sceso nel 2009 non ho più preso in mano le bacchette, forse una volta ma non per suonare, per vedere se ancora mi giravano tra le dita: sono cadute a terra e avevo capito che non avevo più niente a che fare con loro. Quando si è deciso di rifare questo nostro giro di saluto a tutto il nostro pubblico, questa Reunion, in nome di quello che era stato il nostro passato, in onore di Valerio, in onore di Fogli che in qualche maniera aveva segnato veramente una nostra partenza importante, io mi sono rimesso a studiare perché praticamente mancavo dalla batteria da anni. Ho cominciato ad andare a correre, i primi giorni facevo intorno al metro e mezzo, poi mi sono allenato bene e ne ho fatti anche sette di fila. Quando poi la notte di quel 30 di dicembre del 2016 sono di nuovo sceso dal palco con la convinzione che "Game over", me l'ero segnato sulla maglietta, non ho più visto le batterie tranne quando le abbiamo traslocate con Varis in un posto, in un capannone che abbiamo a Montepulciano: lì sono tutte quante in fila che rappresentano praticamente i miei anni di suonatore di tamburo, a cominciare dalla prima bianca ricoperta con la plastica. Ludwig, che era la casa che mi sponsorizzava, poi me la fece bianca e la mise anche in commercio, non dovevo più ricoprirla, era diventata un mio contrassegno. Basta perché io suono la batteria con i Pooh e dal momento che i Pooh abbiamo deciso che devono lasciar stare di fare questo percorso, la batteria rimane zitta».

30.12.2016: l'ultimo concerto dei Pooh. Clicca per ingrandire

Fantastico molto e questo mi aiuta forse poi a raccontare delle storie, sempre nella mia forma paradossale dove sempre tutto finisce con un sorriso. Stefano D'Orazio

Stefano: «Ho imparato a valorizzare un pochino di più il mio tempo libero, fermo restando che leggo molto, scrivo cose: ho scritto due commedie, a ottobre parte un musical. Non so stare fermo in qualche maniera, anche se mi farebbe molto bene perché quando io sto fermo e mi abituo per una settimana o due a far niente non è che io dico: "Mio Dio che brutta roba questa!". No, anzi mi piace. Però in qualche maniera quando sei dentro a dei meccanismi ci sono delle situazioni che non puoi evitare [...]. Fantastico molto e questo mi aiuta forse poi a raccontare delle storie, sempre nella mia forma paradossale dove sempre tutto finisce con un sorriso. Diciamo che il mio è un linguaggio in canzone anche, che non credo vada più bene per scrivere canzoni contemporanee: io non riuscirei a scrivere una cosa che possa interessare la generazione che oggi usurfruisce della musica. Invece valgono benissimo nel raccontare le favole: le favole hanno ancora una retorica del passato anche remoto e in qualche maniera ci autorizzano a sognare e siccome il mio modo di scrivere è divertentemente sognatore, ci sto dentro bene.
Non mi sento a disagio come invece mi sentirei a disagio io solo per aver sentito questa canzone, "Le cose che vorrei", che è stata l'ultima che ho scritto per la musica, per quella che poi diventa disco, quello che poi diventa anche proposta nei confronti di un pubblico. Mi è piaciuta molto, ma ti assicuro che questa canzone la sanno veramente in pochi perché non ha avuto nessun percorso, non è successo niente, del nostro cinquantennale se rimangono delle emozioni sono le emozioni legate necessariamente al passato. Secondo te perché non è stata proposta? Perché le radio non l'hanno abbracciata, perché nessuno l'ha scoperta?».
Martini: «Non è uscita come singolo, quindi alle radio non è proprio arrivata».
Stefano: «I singoli oggi non è che devono essere spediti alle radio: esistono. Ma arriva anche semplicemente un desiderio di un ascoltatore [...]. Se questo non avviene, nonostante uno abbia una platea abbastanza numerosa, perché i Pooh non è che hanno mai avuto problemi di gente che li segue. Se la gente in qualche maniera non ha avvertito questa emozione che io in qualche maniera riascoltando mi è caduta addosso [...]... Ci sono tantissime canzoni che non facevano parte dei pezzi di punta del nostro passato che sono diventati comunque dei successi strada facendo anche se il pezzo era un altro [...]. Le tecniche di comunicazione da parte delle case discografiche giustamente forse puntano su quello che ritengono essere il più probabile che avrà successo, però tantissime altre canzoni, non solo nel caso dei Pooh, in generale, nascoste tra i solchi di quelli che erano una volta i 33 giri, poi nei CD, poi le chiavette e poi nella musica "liquida", è chiaro che se hanno un qualcosa da comunicare, se qualcuno le scopre è perché c'è qualcosa e c'è vogia di riascoltarle. Se nessuno te lo chiede, è perché nessuno se ne è accorto».

Martini, riferendosi al musical che uscirà ad ottobre: «E' tutto top secret o qualcosa possiamo dirla?».
Stefano: «Non è top secret, semplicemente ci sono anche qua, come con le case discografiche che ti mandano un pezzo e ti dicono "Questo è il singolo", una serie di regole da rispettare, ci sono delle conferenze stampa che devono svelare dei segreti che nemmeno io so».

La ragazza c'è stata, è sparita così com'è apparsa, nel senso che io me ne sono innamorato in un percorso del tram. Stefano D'Orazio

Dopo l'ascolto della canzone "La ragazza con gli occhi di sole", pubblicata nel 1988 nell'album "Oasi", D'Orazio ha raccontato come è nata la storia che racconta: «E' una di quelle biografiche, chiamiamole. La ragazza c'è stata, è sparita così com'è apparsa, nel senso che io me ne sono innamorato in un percorso del tram, il 13, che a Roma mi portava da Monteverde a Piazza Vittorio dove andavo a scuola, perché era l'unica scuola che non faceva i turni pomeridiani per cui mio padre voleva che il pomeriggio io stessi a casa con loro. Il 13 percorreva tutta Roma. Questa frequentava questo tram affollato, che poi è diventato un treno nella canzone e io la guardavo. Era nato anche un feeling di piccoli sguardi. Lei saliva alla stazione Trastevere, io salivo invece all'ospedale San Camillo. L'aspettavo in piattaforma senza mai dire niente, lei si avvicinava lì con credo la madre, stava lì accanto a me, guardavamo il traffico, poi lei scendeva a Largo Brancaccio; io scendevo a Fratelli Cairoli, una fermata dopo e questo è andato avanti credo per tre mesi [...]. Siccome avevo anche un po' di timore della mamma, scrissi un biglietto che tenni in mano per tutto il viaggio: quando fece per scendere avevo le mani sudate, per cui s'era tutto scolorito e poi non è più salita perché penso che abbia cambiato o scuola o non so cos'altro, per cui io sono rimasto senza la ragazza con gli occhi di sole».

 

Si conclude qui il lungo resoconto della chiacchierata radiofonica tra Stefano D'Orazio e Fabio Martini. Quanto è stato detto ha permesso di capire come il perfetto ingranaggio organizzativo dei Pooh ha preso forma e movimento, ma ci ha consentito anche di sbirciare un poco tra i ricordi più lontani di un batterista che ha saputo dare ritmo e parole a tante canzoni.

Autore - Michaela Sangiorgi